Il Sole 24 Ore, 19 maggio 2020
Dividendi a rischio fino a 500 miliardi
Lo stacco dei dividendi che ieri a Piazza Affari ha portato nelle tasche degli azionisti di molte società quotate un ammontare complessivo di 3,97 miliardi potrebbe essere un evento difficilmente ripetibile, almeno con una simile portata, nei prossimi anni. Il denaro distribuito da Eni, Generali e le altre, che vale un impatto dello 0,86% sul Ftse Mib, si riferisce infatti ai bilanci chiusi (e alle cedole stabilite) nel 2019, quindi prima che il coronavirus arrivasse inevitabilmente a scompigliare le carte e a porre seriamente a rischio i pagamenti futuri.
Difficile capire quale potrà essere il dazio da pagare all’epidemia in termini di cedole, anche se Janus Henderson prova a offrirci un’idea analizzando come di consueto i dati del suo Global Dividend Index che comprende 1200 società (italiane incluse) che a livello globale rappresentano se messe insieme più di tre quarti del valore delle distribuzioni. Nel primo trimestre del 2020, nota Janus Henderson, la misura dei dividendi versati è rimasta quasi interamente immune alla crisi scatenata da Covid-19: l’indice è anzi ulteriormente cresciuto del 3,6% in valore complessivo (e del 4,3% in termini sottostanti, escludendo cioè i pagamenti straordinari e gli effetti valutari) e ha raggiunto nel trimestre un livello record a 275,4 miliardi di dollari.
Il dazio da pagare al virus
Un primato, quest’ultimo, che sarà purtroppo destinato a resistere, almeno per qualche tempo. I problemi legati alla pandemia si sono infatti manifestati successivamente e gli effetti non tarderanno a trasmettersi sulle cedole in pagamento nell’arco dei successivi 12 mesi. Ed è proprio a questi che Janus Henderson guarda, con molta cautela ma anche provando a ipotizzare qualche difficile (e amara) previsione. Gli analisti hanno identificato le società che hanno già cancellato o sospeso i pagamenti, separandole da quelle le cui distribuzioni sono giudicate vulnerabili e quelle che hanno minori probabilità di essere penalizzate, in modo da identificare lo scenario migliore e il peggiore possibile.
Tenendo infatti conto soltanto di quanti hanno già comunicato il taglio o che hanno forti probabilità di farlo, gli analisti stimano un calo per il 2020 pari a 213 miliardi di dollari, ovvero il 15% dell’intero ammontare, per scendere fino a 1.210 miliardi. Nell’ipotesi peggiore, quella in cui si considerano anche le società vulnerabili si scenderebbe invece di nuovo sotto l’asticella dei mille miliardi, per arrivare a un livello di 933 miliardi di dollari che significherebbe per quest’anno un calo delle distribuzioni globali di addirittura 493 miliardi, equivalente al 35 per cento.
Ovviamente l’ampiezza della sforbiciata è destinata a variare in misura notevole in base alle regioni e ai settori coinvolti. Sotto quest’ultimo aspetto, oltre alle banche (alle quali gli organi di regolamentazione hanno imposto il rinvio dei pagamenti) le più vulnerabili risultano secondo Janus Henderson le società legate ai consumi voluttuari e quelle che operano nel settore aerospaziale, così come in quello petrolifero e minerario. Sono inoltre relativamente più sicure le società tecnologiche e alcuni settori difensivi quali la sanità, gli alimentari e la maggior parte dei consumi di base.
Europa più colpita
A livello geografico saranno invece l’America settentrionale e l’Asia a subire probabilmente l’impatto minore: la prima area perché ha una composizione settoriale più favorevole, sbilanciata com’è verso il comparto tecnologico; la seconda semplicemente perché in Cina e nel resto del Continente le società hanno già fissato i pagamenti per il 2020 sulla base degli utili 2019 ed è presumibile che risentiranno maggiormente dell’impatto soltanto il prossimo anno. I contraccolpi maggiori saranno così avvertiti nel Regno Unito e in Europa, dove come già accennato le banche hanno risposto all’invito della Bce e le grandi compagnie petrolifere hanno già tagliato i pagamenti.
Italia nella media
La Francia, più grande «pagatore» a livello europeo subirà gli effetti più elevati, anche perché ha una significativa esposizione settoriale alle attività più sensibili dal punto di vista economico. L’Italia invece finirà probabilmente per «galleggiare» sulla media: «Il nostro Paese – spiega Federico Pons, Country Head per l’Italia di Janus Henderson – è più o meno in linea con la media degli altri in termini di effetto pandemico sui dividendi e, nonostante l’epidemia sia stata molto grave e abbia avuto inizio prima, ci aspettiamo che il quadro dei dividendi non si discosti dalla media generale». Per i «cacciatori» di cedole si tratterà in ogni caso di una rinuncia dolorosa.