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 2020  maggio 18 Lunedì calendario

I perché del successo di Pac-Man e SuperMario

Due profondi occhi neri e un ampio sorriso su un’iconica faccia gialla. È difficile credere che Pac-Man abbia già 40 anni. Eppure la vorace immagine pop degli ’80 spegnerà le candeline il 22 maggio e, c’è da giurarci, divorerà tutta la torta. Leggenda vuole infatti che tutto sia nato dalla fame. Da quella di Toru Iwatani e cioè del designer dell’azienda giapponese Namco che in un ristorante di Tokyo, contrariamente alla sue abitudini, ordinò un’intera pizza tutta per sé. Tolta la prima fetta, agli occhi del suo creatore, il cerchio incompleto assunse subito le sembianze diventate celebri nel mondo per sfuggire dagli spettri in un labirinto. «Non posso negare di essermi ispirato al vostro piatto nazionale» dirà Iwatani da ospite alla Milan Games Week nel 2015, ricordando come anche il nome sia un omaggio al suo appetito. Deriva dall’onomatopea paku-paku che in Giappone indica il suono di chi apre e chiude la bocca. Da lì in poi è stata Pac-mania. «Ha dato il La a un nuovo modo di intendere i videogiochi e a un fenomeno culturale» spiega Enrico Gandolfi, 35enne docente di Tecnologie educative alla Kent State University, in Ohio. Non solo perché ha sdoganato definitivamente gli arcade, quei titoli giocati con i gettoni ai cabinati in legno ora oggetto di culto vintage, ma soprattutto perché li ha tirati fuori da un immaginario collettivo che li voleva appannaggio di bar e sale giochi buie e strapiene di adolescenti. 
L’INDOTTO
«La semplicità del soggetto gli ha dato una personalità incredibile differente dai cloni di Pong che si vedevano in giro allora» racconta Gandolfi. «Azioni rapide, musica coinvolgente, assenza totale di violenza, colori luminosi ed eleganza hanno fatto il resto». Se Pac-Man ha generato un indotto da quasi 14 miliardi e «ancora oggi è il punto di partenza per ogni studio di game design» quindi, lo si deve proprio alla sua essenza: l’immagine. «Volevo che per la prima volta un videogame fosse riconoscibile e anche gradito al pubblico femminile così da assicurare un’audience più ampia possibile – ha spiegato Iwatani – E, non lo nascondo, per costruirci attorno un merchandise di cui curai ogni dettaglio, cucendo personalmente alcune magliette». Un’attenzione che gli ha permesso di «entrare nella mente delle persone diventando una specie di marchio per quella generazione di creativi che ora guida l’industria culturale applicando la sua lezione comunicativa». Non è un caso se la creatura della Namco ha varcato i confini delle console e vanta versioni per ogni piattaforma esistente, comparsate in cartoon, cross-over (l’ultimo nel 2018, in Sonic Dash) e addirittura blockbuster hollywoodiani come Pixels di Chris Columbus.

IL FRATELLO MINORE
A pochi altri è toccato un destino tanto felice e duraturo. Super Mario ad esempio. L’idraulico con i baffoni e la salopette è l’unico altro titolo entrato nella memoria intergenerazionale. «It’s-a me, Mario» è un jingle che risuona con la voce giusta nella testa di mezzo mondo e che ha nel 2020 un anno speciale. Il videogioco Nintendo Super Mario Bros. infatti compirà 35 anni a settembre e, da fratello minore di Pac-Man, merita gli stessi riconoscimenti. «Mario è il frutto di un’altra epoca videoludica – spiega Gandolfi – ha però l’anima semplice di Pac-Man camuffata in un mondo più complesso». C’è la retorica della principessa da salvare ma entrambi i titoli hanno avuto la virtù di essere pacifici in un momento in cui i videogame erano per la prima volta motivo di preoccupazione perché incentrati sullo sparare e l’uccidere i nemici. Mario e Pac-Man sono invece giochi per tutti che hanno provato a rendere l’esperienza un contenuto per famiglie, anticipando di fatto la rivoluzione in corso oggi con gli e-sport o particolari titoli. «Se c’è un erede attuale potrebbe essere Animal Crossing: New Horizons» dice Gandolfi. Si tratta dell’ultimo capitolo della serie di Nintendo esclusiva per la console Switch che è basata sulla simulazione di vita. È uno di quei giochi in cui si controllano esseri viventi artificiali e attraverso di loro si vive in un mondo virtuale. Un po’ un Tamagotchi che «cresce con il giocatore», ad esempio «cambiando con il meteo che c’è fuori», ed «eliminando la pressione». Al punto che durante il lockdown non solo è diventato protagonista delle vendite (11,7 milioni di copie nei suoi primi 11 giorni) ma anche delle ricerche di psicologi che lo ritengono capace di tranquillizzare chi è dovuto restare chiuso in casa. Se non è un fenomeno sociale questo.