Huffington Post, 18 maggio 2020
De Rita: «Per ricostruire bisogna desiderare»
Dal suo punto di vista, la questione va ribaltata: «Io sono spaventato dalla depressione del desiderio che vedo arrivare. La ripresa la fanno le persone, non il governo. Se lo stato ti dà i soldi per comprare una bicicletta, il denaro per pagare la baby sitter, gli incentivi per andare in vacanza, se cioè si preoccupa di non farti mancare niente, uccide l’iniziativa. Castra la libido. Il desiderio nasce dall’assenza. La pioggia di bonus, invece, lo spegne. Raffredda lo slancio. Inibisce la carica erotica del Paese». Da settant’anni impegnato a decifrare i movimenti sommersi della società italiana, Giuseppe De Rita è restio a dar troppa importanza a ciò che si vede a reti unificate: «Non ci credo a questa storia che i Dpcm, la decretazione d’urgenza, tutto il repertorio giuridico dell’emergenza, incideranno nei rapporti tra il parlamento e il governo, danneggiando la Costituzione. Nel caso so che potremmo contare su un certo numero di cani da guardia. Quello che mi preoccupa è la costituzione psicologica dell’Italia. Perché la società non è fatta di circolari, di ordinanze, di protocolli. È fatta di testa, mani, rabbia, fantasia, ansia, voglia. Uno Stato che non sollecita le imprese del singolo, non incita l’attività, scoraggia i progetti, produce inerzia, attesa, rassegnazione. Nessuno si è mai ripreso così».
Ottantotto anni, fondatore del Censis, De Rita non ha più l’età per ascoltare le indicazioni del comitato tecnico scientifico: «Quando qualcuno mi incontra sul marciapiede, mi guarda con angoscia. Io detesto la mascherina e mi rifiuto di indossarla. Questo sconcerta. Le persone mi vedono e raggelano. Poi, cambiano strada. Mi stupisco ogni mattina della paura che vedo in giro. Lei se lo sarebbe mai aspettato? Non dico i lombardi e i veneti – per loro era ovvio. Io dico tutti gli altri. Anche a Roma c’è gente terrorizzata. Un vecchietto, al semaforo, mi ha visto in macchina senza mascherina e ha iniziato a urlare ai carabinieri: “Arrestatelo, arrestatelo!”. Io sono un uomo vecchio. Ho vissuto la mia vita. Che vuole che me ne freghi di disinfettarmi le mani ogni quarto d’ora. Se è arrivato il momento di morire, morirò e amen».
Non la preoccupa neanche la crisi economica?
«Mi preoccupa l’idea che sarà lo Stato a tirarci fuori da questa situazione. Ho sentito più volte accostare il dopo pandemia al secondo dopoguerra. Molti dimenticano che la ricostruzione non l’ha fatta il governo. L’hanno fatta milioni di persone. Chi costruendo una casa, chi tirando su un’azienda, chi facendo una stradina per raggiungere un pezzo di terra».
Lo Stato non doveva intervenire?
«Negli anni della ricostruzione, lo Stato si è mobilitato per fare ciò che i singoli non potevano fare. Infrastrutture, sistemi industriali, reti elettriche. Questo dovrebbe essere lo spazio dell’intervento statale anche oggi: fornire strumenti per stimolare l’iniziativa imprenditoriale, non distribuire sovvenzioni ad personam, soffocando la vitalità degli individui».
In realtà, c’è chi lamenta che i soldi siano stati solo promessi.
«Ma, dal punto di vista della psicologia sociale, promettere equivale a erogare. L’annuncio mette in moto un’onda di soddisfazione che fa calare il desiderio, soffocando il bisogno di cui si nutre. Il capitalismo avanzato è un maestro in materia. Moltiplicando la disponibilità di beni, ne diminuisce la desiderabilità. Se posso avere tutto, non ho voglia di niente. Il fenomeno è stato studiato a lungo. Però chi ci governa oggi non sembra essersene interessato. Hanno pensato a tutto, dal monopattino agli hotel in cui andremo questa estate. Facendo immediatamente passare la voglia, sia dell’uno sia dell’altro».
Era meglio governare di meno l’emergenza?
«Le persone stavano morendo, i posti in terapia intensiva erano pochi, la gente era spaventata. Era necessario intervenire velocemente. La verticalizzazione è stata naturale. Del resto è avvenuta in tutti i paesi del mondo».
Allora qual è il problema?
«Che in Italia c’è stato un di più che non era indispensabile. Tutto è stato centrato sul presidente del Consiglio, il Comitato tecnico scientifico, le task force. Ogni cosa è stata ricondotta al vertice. Al punto che la pandemia passerà, ma i residui del modello statalista rimarranno».
Si aspettava la disciplina degli italiani?
«Non è stata disciplina: è stata paura. Le persone sono rimaste a casa per non essere contagiate. È stata una questione di vita o di morte. Non hanno accettato le limitazioni per assolvere a una missione nazionale».
Era scontato?
«No, però l’Italia non era in una fase di slancio né economico né sociale né culturale. Staccare la spina – non dico che sia stato facile – ma è stato meno doloroso di quanto lo sarebbe stato in altri momenti della nostra storia».
Quando finirà, con chi ce la prenderemo?
«Con nessuno. È difficile dare la colpa di quello che è successo a un cattivo da trasformare in capro espiatorio. Durante Tangentopoli, colpevoli ne avevamo quanti ne volevamo. C’erano le mazzette, i partiti corrotti, Craxi e tutti gli altri politici da additare. Oggi l’assassino è un microbo. Si vede solo al microscopio. Mi sembra difficile riuscire a linciarlo in piazza».