il Fatto Quotidiano, 18 maggio 2020
1920, Viareggio: il sogno della Repubblica anarchica
Sovversivo fu il football. E rivoluzionario fu il popolo di Viareggio, che amava seguire le partite della squadra di calcio locale. Cominciò tutto il 2 maggio del 1920, dopo la fine della gara fra il club della Versilia e l’odiata Lucchese (sulla vicenda è recente il bel lavoro di Andrea Genovali, La Repubblica di Viareggio. Storia di una quasi rivoluzione, L’Ancora editrice). Scrive Mario Tobino (1910–1991) nel romanzo Il clandestino che Viareggio “fu l’unica città in Italia che per tre giorni abolì ogni potere trasformandosi in anarchica repubblica”.
La sommossa, rievoca Enrico Lorenzetti, nipote dello scrittore Enrico Pea, nella rivista Studi Versiliesi, “si accese d’improvviso a seguito dell’uccisione di un dirigente sportivo di Viareggio da parte di un carabiniere che era accorso con una diecina di altri, al termine della partita di ritorno, al campo di football della Villa Rigutti, tra la squadra di Viareggio e la rivale di Lucca, in un tentativo infelice di quelle forze dell’ordine di contenere e separare la tifoseria viareggina, incattivita per certi errori arbitrali a loro danno, dalla tifoseria degli ospiti lucchesi che, più scarsa, era qui venuta in trasferta”. Ben presto la protesta e la rabbia per l’uccisione di Augusto Morganti, il dirigente del Viareggio calcio, divampa nella voglia di fare come nella Russia dei Soviet. Sono i giorni, tra il 1919 e il 1920, quelli del “biennio rosso”, del resto, in cui in tutta Italia esplodono rivolte popolari. Per 3 giorni, dal 2 al 4 maggio, scrive Paolo Fornaciari sul sito del Comune di Viareggio, “estromessa ogni forma di autorità”, la città “fu isolata dal resto del territorio, e mentre sul palazzo del Municipio sventolava il nero vessillo dell’anarchia, improvvisate ‘guardie rosse’ si opponevano dietro precarie barricate allo Stato che, mobilitati esercito e marina, cingeva in assedio la città facendo sfoggio di forza, ma anche dimostrando incertezze decisionali”.
Racconta Leone Sbrana in Viareggio. Momenti di storia e cronaca che “tutti i servizi cittadini si svolgono regolarmente. Il Comitato rivoluzionario manifesta innegabili capacità di direzione della cosa pubblica. Tutto ciò è facilitato dall’autocontrollo e dall’autodisciplina dei cittadini. I contrasti del comitato col commissario regio sono costanti. Oltre le sentinelle, che fanno cordone intorno alla città, picchetti armati sciamano sulle sue vie fra le case basse ricolorate dal sole di maggio”. Il deputato socialista Luigi Salvatori, “oltre a partecipare alle riunioni del comitato, tiene un comizio nei pressi di piazza del Mercato a ridosso di un albergo fra i più vetusti della città”. Anche l’anarchico Lorenzo Viani, il grande pittore, “tiene un accaldato comizio in piazza del Mercato”. Aggiunge Fornaciari che la “cronaca di quei giorni di fuoco, mette in evidenza il carattere spontaneo della ‘rivoluzione’ viareggina. Senza capi, che divampò spontanea, priva di regia e di finalità eversive: come la forte risposta di un popolo dallo spirito fiero e libertario di fronte alla violenza ingiustificata e ai soprusi, e che si esaurì senza un epilogo drammatico solo grazie al ruolo responsabile e all’opera di mediazione che svolsero le associazioni politiche e sindacali viareggine”.
Nel pomeriggio del 4 maggio fu celebrato il funerale di Morganti, “con la partecipazione di quasi tutta la popolazione viareggina”. Poi, dice Fornaciari, “dopo le esequie funebri, in un comizio tenuto davanti al Municipio fu comunicata la cessazione di ogni agitazione e la decisione della regolare ripresa del lavoro in tutti i cantieri e le fabbriche. Durante la notte i numerosi anarchici che erano confluiti a Viareggio abbandonarono la città che fu occupata dalle prime ore dell’alba da un ingente quantitativo di truppe”.
Nel suo racconto Le tre giornate, pubblicato in Sulla spiaggia e di là dal molo, Tobino narra la fine della Repubblica Anarchica: “La notte l’esercito invase Viareggio. Le strade risuonarono del battito secco delle carrette, dell’acuto gracidio dei motori, delle voci giovanili dei soldati. Le barricate, divenute un solitario ingombro, volarono via”. E la “mattina le botteghe disserrarono i battenti, i cantieri riaprirono i cancelli, i carabinieri la porta della caserma. In Municipio sedette di nuovo, sulla poltrona del sindaco, il commissario prefettizio”. Eppure, “nonostante lo sciame dei soldati, la città ancora in silenzio, nei visi l’ombra dell’umiliazione. Viareggio era stata vinta. Adesso, anche quei cittadini che erano restii o contrari alla sommossa, appena l’ordine ristabilito, riparteciparono all’orgoglio paesano. Era stato bello buttare in aria ogni legge, alzare le barricate, sparare su chi si presenta col berretto del comando. Bello essere stati ribelli, liberi, anarchici”.