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 2020  maggio 15 Venerdì calendario

Intervista a Linus su "Fino a quando" (Mondadori)

Quella di Linus è la storia di un bambino che non ha mai avuto una cameretta. Un bambino povero degli anni Sessanta, come si definisce in Fino a quando , il suo nuovo libro (Mondadori). Dettagli di un imprinting che hanno fatto di quel bambino che non andava bene a scuola, ma capiva tutto e quasi sempre prima degli altri, un pioniere in un mondo che credeva fosse un gioco ma poi è diventato la sua vita, la radio. Nel libro, di quel mondo immagina la fine: il suo ultimo giorno dietro il microfono.


Non ha intenzione di farlo davvero, quindi perché?
«Forse per fare le prove generali per quando sarà. Un po’ come quando da ragazzo pensi al tuo funerale e ti chiedi chi piangerà... Questo è il mio lavoro da più di 40 anni, prepararmi al salto nella vita successiva serve proprio perché sembra impossibile farne a meno. Io sono talmente quella cosa lì che a volte mi piacerebbe essere anche qualcos’altro».


Voglia di evasione?
«La mia è una schiavitù dorata. Mi sento spesso quello che tiene insieme il mondo che mi gira attorno; mi comporto come se fossi il padrone dell’azienda per cui lavoro, ma non è così. Sono il bidello. Ma resto un privilegiato e lo so».


Nel libro torna spesso il senso di colpa. Fa parte di lei?
«So di essere fortunato. Ho avuto una vita che divido in due parti, la prima molto dura: ho fatto in tempo a lavorare davvero, come operaio, per due anni. Non è tantissimo ma mi sono serviti».


Le avevano offerto anche il famoso posto fisso. Ha detto no.
«Mi chiedo come sarebbe andata se avessi risposto diversamente, anche se poi mi dico che sarei comunque scappato dopo poco. La vita è un misto di fortuna e di scelte che non devi sbagliare».


Lei non lo ha fatto. Eppure si sente in colpa, anche per la Porsche parcheggiata nel suo garage, vero?
«Mi ero sempre trattenuto, mi vergognavo, non so. Poi un giorno mi sono detto: me ne frego, la compro e basta. Ecco, ora ha tre anni e 5 mila chilometri... la guardo come fosse un quadro. Ogni mattina scendo e prima di salire sull’altra auto, quella che uso, guardo quelle ruotone larghe e le dico: “Ciao bella culona”».


Ha ereditato il carattere «attorcigliato» che nel libro diceva fosse di sua mamma. È così?
«Penso sia così. Lei sapeva essere scorbutica e riservata ma al tempo stesso divertente e simpatica. Ha avuto una vita oggettivamente faticosa, gli unici anni con una decorosa stabilità economica sono stati gli ultimi, quindi spesso era pessimista. Ma poi usciva quell’ironia pungente, pugliese, davvero simpatica. Ora la rivedo nei miei figli, di cui sono vittima. Il più piccolo poi è veramente stronzo, fa l’imitazione di ogni mio difetto e mi fa impazzire perché mi becca sempre e mette in crisi la mia sicurezza: mi piace ostentare l’aria dell’uomo sicuro».


Lo sembra davvero. Sembra anche l’ex primo della classe...
«Non era così... nella vita sarebbe bello avere una seconda possibilità per rifare quello che hai fatto quando eri superficiale o, nel mio caso, stupido. Ero la sintesi della famosa definizione: “È bravo ma non si impegna”. Capivo le cose velocemente ma in tredici anni di scuola dell’obbligo avrò studiato una settimana a essere ottimisti. Mi sono rimaste tre cose: la passione per la lettura, una discreta attitudine per l’inglese e l’italiano... sapevo fare solo i temi: li barattavo in cambio degli altri compiti».


Il suo migliore amico è lo stesso di allora...
«Sì, abitavamo vicini, poi per il lavoro dalla periferia mi sono spostato a Milano. Lui è rimasto lì. Da anni ci sentiamo al mattino tutti i giorni. Le nostre mogli ci dicono che siamo più affezionati tra noi che a loro... lui è la mia finestra sul mondo reale».


In cui restano anche le sue radici. Quelle di un bambino che non ha mai avuto la cameretta, appunto, come dice nel libro.
«Penso sia una cosa che fa la differenza. Ho vissuto con i miei genitori fino ai 29 anni, quando mi sono sposato la prima volta. Fino ad allora il mio letto era una poltrona che aprivo la sera. Forse il mio primo matrimonio c’è stato più per la voglia di avere una casa che una moglie. Ero più attirato dall’idea di avere uno spazio mio che non dalla storia d’amore, che pure c’era. Ora il mio ufficio è la mia cameretta e anche la mia casa: non è da rivista, come quelle dei vicini. Ma mia moglie mi vieta di esporre troppe foto».


Un’altra sua passione: la corsa.
«Una cosa stupenda che mi ha riempito di acciacchi. Lo scorso anno un medico, spero in buona fede, mi ha suggerito un’operazione alla schiena. Mi sono fidato ed essendo frettoloso ho voluto farlo il prima possibile, ma poi ho passato 25 giorni in cui pensavo di morire. La mia schiena non è più quella di prima, ma continuo a correre».


Il nuovo capitolo della sua vita potrebbe essere la televisione?
«Me lo sono chiesto, ma forse non sono abbastanza bravo: vengo da quella nidiata di dj che ora sono conduttori tv. Credo anche di essere viziato da tutti questi anni di libertà radiofonica; in tv se non sei Fiorello, nove su dieci devi fare cose che non ti piacciono».


E condurre un quiz? Ride.
«Mi piacerebbe moltissimo. Diciamolo prima che sia tardi. Mi piace quel misto di cultura generale. Anche in radio serve un’infarinatura di tutto... il requisito è lo stesso: essere bravi con le parole crociate».