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 2020  maggio 17 Domenica calendario

L’ufficio non serve più?

La poltrona in pelle umana del megadirettore galattico di fantozziana memoria? Un ricordo. Le chiacchiere tra colleghi alla macchinetta del caffè? Un’abitudine novecentesca, tipica dell’era a.c. (ante coronavirus). La pandemia ha ridisegnato la nostra realtà quotidiana e ha cancellato – almeno temporaneamente – il luogo fisico dove molti italiani passavano, fino a pochi mesi, buona parte delle loro giornate: l’ufficio. «Abbiamo fatto per anni teoria sullo smart working – ride Davide Dattoli, che negli spazi di Talent Garden ospita decine di start-up che per scelta non hanno nemmeno una sede – Il Covid ci ha messo di fronte alla realtà: si può fare davvero. Indietro non si torna e l’equazione cento dipendenti- cento scrivanie non funzionerà più». Fosse per Jack Dorsey, numero uno di Twitter, le scrivanie potrebbero essere zero. «Chi vuole – ha scritto ai dipendenti questa settimana – può lavorare da casa a vita». La realtà, forse, è più sfumata e Zoom & C. – più che rottamare gli uffici – li obbligheranno a una radicale metamorfosi. «Una sede fisica è la base dell’identificazione di un dipendente con l’azienda, non si può farne a meno», dice il sociologo Luca Pesenti, professore all’Università Cattolica di Milano. Video-riunioni e mail non bastano. «Viviamo di relazioni e contatti – spiega l’architetto Massimo Roj di progetto Cmr –. Torneremo in azienda, anche se con modi e tempi diversi dal passato». Lo smart working avrà più spazio. E a cambiare un po’ – assieme a orari, lay-out e distanziamenti – saranno pure le abitudini, i tic e le nevrosi che ci hanno tenuto compagnia per otto ore al giorno quando (sembra un secolo fa) ogni mattina si andava al lavoro.
Il confine tra casa e ufficio, in fondo, è sempre stato labile. «In azienda si imparano a gestire relazioni complesse e a convivere con chi ci sta simpatico e antipatico», dice Pesenti. Una palestra di vita (in qualche caso di doppia vita) dove nascono amicizie, si trovano moglie, marito o – come Fantozzi con la Signorina Silvani – amante. La Silicon Valley ha provato a portare la casa in ufficio, riempiendo gli spazi di calcio-balilla, angoli bar, palestre, animali di compagnia. Il Coronavirus ha ribaltato gli equilibri e ha trasferito tout court l’ufficio in casa.
I contraccolpi di questa rivoluzione culturale li abbiamo sperimentati in questi mesi: «Il dipendente deve imparare a organizzare il lavoro, il capo non può controllare chi è alla scrivania», sintetizza Dattoli che con Althea aiuta le imprese a risolvere gli scompensi – anche psicologici – da “ufficio virtuale”. Il coronavirus ha trasformato il cartellino in un oggetto di modernariato: «Come l’idea della scrivania fissa – scherza Roj –. Ho lavorato con aziende pubbliche dove i manager volevano il nome inciso sul posto di lavoro». Nel dopo-coronavirus («le nuove generazioni ci sono già abituate», assicura) sarà diverso: «In casa si fa da mangiare in cucina e si dorme in stanza da letto – aggiunge –. Gli uffici del futuro saranno così: costruiti per funzioni e non per gerarchie». Spesso non ci sarà il posto assegnato: «Si starà a casa o in co-working quando è più pratico, si andrà in sede per le riunioni che stimolano la creatività», è sicuro Dattoli. Il requiem per l’ufficio, insomma, è prematuro. «È uno slogan come quello dei grattacieli vuoti – è convinto Manfredi Catella di Coima che di uffici e grattacieli (specie a Porta Nuova a Milano) ne ha costruiti un po’ –. La pandemia accelererà la digitalizzazione e integrerà il lavoro tradizionale con la flessibilità di quello remoto. La domanda di salute, sicurezza ci porterà a disegnare gli interni aziendali con più cura dell’areazione e rispettando la sostenibilità. Ma c’è bisogno di contatto fisico, uno schermo non basta e un posto di lavoro reale sarà ancora fondamentale». «Abbiamo bisogno di relazionei reali– conferma Luca Bizzarri che con Camerà Cafè ha giocato per anni in tv sulle dinamiche da impiego fisso –. Mi auguro si possa tornare presto a farlo con un cappuccino con i colleghi davanti alla macchinetta del caffè». Ovviamente, in ufficio.