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 2020  maggio 17 Domenica calendario

Biografia di Anna Pettinelli raccontata da lei stessa

Anna Pettinelli è un po’ come Francesco Pannofino quando doppia George Clooney, e la voce diventa più caratterizzante del personaggio stesso. Così è lei, la riconosci dalla prima sillaba di “pronto”, e subito dopo spinge sull’acceleratore di pensieri e concetti, senza reali incertezze o rallentamenti, ma è costante, pratica, diretta, consapevolmente sfrontata; ha il timer nella testa e la trance agonistica nel taschino di chi, da 40 e passa anni e ogni giorno (su Rds), affronta la diretta radio e deve mantenere la giusta verve e argomenti seducenti. “Eppure non sento la pressione e quando ascolto un professionista abbattersi per l’emozione, mi incazzo”.
Come ha iniziato?
Il confine è marcato “1975”: mio padre era un grande appassionato di musica, passione trasmessa a me, e già da giovanissima rompevo per ottenere i vari pezzi dello stereo, quindi un super sintonizzatore, il giradischi, le casse potenti; poi nell’estate di quell’anno, quando ero in vacanza in Toscana, ascoltavo le frequenze di Radio Montecarlo…
E…
Continuai a Roma con le due stazioni libere del tempo, e le chiamavo a ripetizione per richiedere i brani, tanto da diventare amica con la ragazza che rispondeva al telefono; poi quel 28 dicembre si ruppero gli argini: “Perché non ci vieni a trovare?”. La sera stessa stavo da loro.
Ogni quanto chiamava?
Tutti i giorni e per due o tre volte; allora era così, gli ascoltatori erano pochi, la gente non conosceva l’esistenza delle radio libere; insomma, sono andata, e proprio quella sera mancava la terza voce, così uno dei due conduttori si rivolse a me con un “dai, piazzati al microfono”. Non ho più smesso.
Sembra il film “Radio Freccia” di Ligabue…
È esattamente così; inoltre a casa possedevo un po’ di dischi ed ero padrona di una buona conoscenza musicale. Ero proprio giovane.
Com’era in classe?
Spesso assente.
Solo radio?
No, mi interessavo di politica, la politica attiva: quindi tessere, finanziamento, sottoscrizioni, manifestazioni, organizzazione; poi quando andavo in aula mi presentavo vestita di nero con un cappello a falde larghissime, e mi sedevo in fondo alla classe.
In sintesi?
Una stronza con il botto e molto politicizzata.
Da quale parte?
A sinistra; la domenica mi alzavo all’alba per distribuire l’Unità, e la mia prima tessera del Pci me l’ha firmata Walter Veltroni, all’epoca segretario della sezione.
Veltroni da ragazzo…
Un genio, era già Veltroni.
Tradotto.
Serissimo, impostato, acculturato, sapeva di tutto, il vero capo, e con un certo fascino dovuto al suo appartenere a una borghesia letteraria; a quel tempo eravamo proprio convinti di vivere in mezzo a una rivoluzione e che il mondo sarebbe totalmente cambiato…
Invece?
Erano sogni, oggi non mi affascino e non mi identifico politicamente con nessuno.
Insomma, manifestava.
Un paio di volte, per fuggire dalle aggressioni, mi sono rifugiata dentro la Feltrinelli, ed ero veramente piccola, perché a soli quattro anni e mezzo mi hanno iscritto alla primina; a nemmeno 13 anni ero al liceo, e il mio primo giorno di superiori è stato bagnato da un’occupazione.
Quindi…
Mamma mi accompagnò in classe, e pure la mattina dopo, quella seguente e per tutto l’anno.
Non si vergognava?
Come una pazza, ma l’età non mi permetteva alcuna ribellione; (sorride) mentre frequentavo il primo liceo, in quinto c’era Massimo Lopez, identico a come è oggi.
Cioè?
Imitava tutti i professori e ogni collettivo o assemblea veniva funestato da lui: arrivava, prendeva la parola, piazzava uno show di quindici minuti e se ne andava.
I suoi genitori la sostenevano?
Papà preoccupato, però non ho mai frequentato la parte più estrema della sinistra, non mi associavo ai “compagni che sbagliano”.
Fortuna o istinto?
Istinto e formazione famigliare; (sorride) ero abbastanza in stile “Nanni Moretti”: un’intellettualoide con un po’ di puzza sotto il naso, e giravo sempre con tre o quattro libri sotto il braccio.
La Rai e “Discoring”…
Arrivai dopo un provino, scelta tra 400 ragazzi; oltre a me presero una modella bellissima, ma non in grado di incrociare tre parole, ed Emanuela Falcetti, già giornalista; ah, precedentemente avevo lavorato a Rai3 nel ruolo di annunciatrice.
Oggi come giudica se stessa del 1980?
Come una delle poche persone con le idee ben chiare su cosa voleva e consapevole di aver contribuito a creare un nuovo linguaggio: quello radiofonico.
Ex novo.
Nel 1975 i nostri modelli d’ispirazione erano qualche cassetta registrata e qualche rivista; allora dovevi costruire un mestiere da zero e scopiazzare dov’era possibile. Per questo mi sento una pioniera.
Già allora carattere tosto.
Tremenda, e a 18 anni ero già fuori di casa.
Scelta o obbligo?
Mio padre per salvare il matrimonio decise di tornare a vivere a Livorno, città nella quale sono nata, e abbandonata a cinque anni; gli risposi: “Sei pazzo. Resto a Roma”. “Allora ti mantieni da sola”. Non avevo una casa, iniziai a dormire alla radio: chiudeva la segreteria, aprivo il divano letto, e via; accanto avevo un piccolo armadio per i vestiti.
Quanto tempo?
Due anni; (cambia tono) e senza una lira, si viveva in radio e di radio, quelle onde erano totalizzanti.
E poi?
Tra il 1978 e il 1979 iniziarono ad arrivare i primi soldi, e con il contratto Rai la situazione economica è ulteriormente migliorata.
Mamma Rai.
Non era mia madre, ma un mausoleo, con i funzionari che ci provavano con le ragazze, pieno di raccomandati, e le ballerine che la davano ai dirigenti. Uno schifo.
E lei?
Salvata grazie alla professionalità, e non ero figa.
Non si butti giù.
Ero una ragazza normale e loro avevano bisogno di gente brava.
Nel 1983 il primo Sanremo.
Ce lo dissero a gennaio: “Voi di Discoring condurrete il Festival con Andrea Giordana”, il bello del momento; io, faccia tosta, non mi scomposi.
Tranquilla.
Solo che il produttore decise di tenerci lontano dalle tentazioni della kermesse: niente albergoni o affini, ma un residence marginale e orrendo; (sorride) ero l’unica con la camera matrimoniale, poi ceduta alla Falcetti perché all’epoca aveva un amore e la necessità di vederlo.
È l’edizione di Vasco con “Vita spericolata”…
Sì, e con Isabel Russinova (una delle presentatrici) che per l’emozione piagneva ogni tre secondi e la Falcetti isterica.
Lei, no?
Sono una bestia strana, non soffro l’emozione.
Mai?
Il termine che odio maggiormente è “emozione”; mi spiego: quando Pippo Baudo, che oramai ha superato gli 80, dichiara “sono emozionato di stare qui a Sanremo”, dice un falso. Non è vero.
Perché?
Puoi sentirti felice, eccitato, smanioso, ma non emozionato; chi è emozionato ha il tremolio alle gambe, perde la parola, sente la paura, è insicuro; ma se sei preparato e conosci il mestiere, non puoi emozionarti; (si scalda) certe affermazioni mi suscitano un po’ di incazzatura.
In quel Sanremo Vasco abbandonò il palco.
Quando sei dentro la macchina sanremese, certe situazioni esistono sull’attimo, l’attimo successivo devi pensare “’sti cazzi” e proseguire; come nel 1986 e Loredana Bertè si presentò con un pancione finto.
C’è un minimo denominatore comune tra gli artisti?
Sono uguali nell’incertezza del successo: quando esce un nuovo lavoro, se la fanno sotto, temono di perdere fan e tornare a zappare la terra; ma questa condizione psicologia appartiene a tutti noi.
Tutti…
Ho visto Baudo angosciato perché era fuori dai giochi, e non era una questione di successo, ma di impegno: non aveva nulla da fare. Ed è una condizione drammatica.
La salvezza?
Passare la propria esperienza, trasmetterla ai giovani e per mia fortuna è un impegno che affronto da tempo.
Ora anche ad “Amici”.
Quella con Maria (De Filippi) è stata l’esperienza più bella degli ultimi venti anni: mi sono divertita da matti nell’insegnare ai ragazzi cos’è la musica, cos’è un vinile.
In televisione è in onda “Sapore di mare 2”, con lei tra i protagonisti.
Alt, esperienza bella, ma non sono un’attrice; in realtà eravamo un cast di pippe, con le facce di cartone; Ciavarro era solo bello, ma non si poteva sentire.
Bello, tanto.
Uno degli uomini più belli mai visti, eppure un ragazzo molto semplice; (ride) giravamo a Forte dei Marmi e il cast dormiva in un albergo mediocre, mentre a Eleonora Giorgi, da vip, avevano assegnato un super stellato: la sera andavamo a bere una birra, e ogni volta alle nove e mezzo Massimo (Ciavarro) prendeva la bici, salutava e se ne andava.
E…
Una sera lo abbiamo seguito: raggiungeva la Giorgi.
Ha dichiarato “o odio o amo”.
E purtroppo mi si legge in viso; mia figlia si raccomanda: “Per favore con i miei amici smussa”.
Sua figlia Carolina ha partecipato a “The Voice”.
È una storia non pulitissima: si è iscritta senza rivelare di me, lo hanno scoperto in corso d’opera, e hanno provato a mettermi in mezzo. Gli è andata male. Poi mi sono presentata in trasmissione per le semifinali, con la promessa di non venir inquadrata, invece hanno puntato la telecamera su di me e mi sono nascosta sotto la poltrona.
L’accusa che le rivolgono spesso?
Che sono cattiva e stronza. Senza cuore. Poi chi mi conosce si ricrede, e anche qui Maria mi ha permesso di dimostrarlo ad Amici.
A cena con la De Filippi o D’Urso?
Maria tutta la vita.
Con Sarri o Lotito?
Lotito è simpatico ma è della Lazio. Io romanista.
Vasco o Ligabue?
Vasco.
Nella foto ufficiale dell’addio di Totti al calcio c’è lei che piange.
Francesco lo amo profondamente, per me è un fratello, vorrei lui, Ilary e i bambini a pranzo ogni Natale; è l’unico uomo che quando lo vedo mi manda in confusione; (tono profondo) dopo il suo addio ho pianto giorni.
Una qualità di Totti?
È quello che appare, le cazzate che dice le pensa. È un comico. E aiuta una quantità incredibile di bambini.
Un suo vizio.
Oddio mio, mi vedo così perfetta; (ride) va bene, di voler avere sempre ragione. Ma alla fine ho ragione.
Scaramanzia.
Scale e gatti neri.
Quando si è sentita bella?
Mai. Ho sempre il culo troppo grosso, le cosce idem, la pancia, sono sempre a dieta, però adoro il vino e mi concedo un bicchiere, poi soffro per quel bicchiere, quindi mangio il gelato, arrivano i sensi di colpa e digiuno tre giorni.
Perfetto.
Adesso vedo le rughe, e se qualcuno mi definisce giovanile, je meno.
Ipocondriaca?
Assolutamente.
Lei chi è?
Sono una romanista pasionaria che come al Cavaliere nero di Gigi Proietti “non je devi rompe il cazzo”.
(Perché, come diceva Trilussa, “tutto sommato, la felicità è una piccola cosa”)