Il Sole 24 Ore, 17 maggio 2020
Di che sesso è il giardino
Il giardino è un affare da uomo o da donna? È veramente difficile dare una risposta a questa domanda che sembra frivola, ma non lo è affatto perchè mette in dubbio un rapporto profondo con la natura. Non penso che il giardino vada relegato solo alla sfera femminile o a quella maschile, tant’è che il rapporto più sincero con la natura ce l’hanno i bambini, proprio in quella fase prescolare libera dei preconcetti della sessualità.
Il giardino non dovrebbe essere catalogato: né cosa da maschi, né da femmine, è un esperimento naturale dell’uomo tout court. Se la natura esiste spontaneamente anche senza di noi, la nostra immagine (interpretazione) di essa non può esistere senza di noi, e il giardino ne è una idealizzazione frutto di molteplici punti di vista.
Continuo a pensare che ci siano pochi giardini belli come quello di Sissinghurst che fu creato nel 1930 da una coppia di eccentrici intellettuali sulle rovine di un antico castello nel Kent di cui erano rimasti in piedi solo la torre e parte dei muri perimetrali. I proprietari, Vita Sackville-West e suo marito Harold Nicolson, non erano solo poeti e scrittori, membri del gruppo Bloomsbury: erano anche grandi appassionati di piante e giardino ed erano omosessuali. Il giardino fu il loro luogo condiviso poiché ognuno aveva camere in parti separate della proprietà dove si vietavano l’accesso l’un l’altro.
Il loro giardino, forse il più visitato del National Trust, e sicuramente uno dei più amati del mondo, ha una struttura sorprendente. È fatto di stanze, corridoi, luoghi di sosta: angoli magici in cui non si può fare a meno di cadere in una sincera estasi per un mondo vegetale raffinatissimo, pieno di sentimento e eleganza, proprio come il loro modo di vivere e di scrivere. La stanza dei fiori bianchi, la parete coperta dalla clematide azzurra, la terrazza col tappeto di timo mélange, il frutteto nascosto dietro alte siepi di tasso, il torrente e i suoi fiori di campo: pura magia e seduzione. Tra i virtuosismi botanici ci sono una magnolia potata contro la casa come fosse un rampicante, un rosmarino scultoreo che si fa spazio con naturalezza tra i gradini di sasso della scala di ingresso. Mentre ai lati della torre, dentro massici planters di metallo ossidato verderame, fioriscono Tweedia coerulea che hanno fiori di un colore che sembra uscito dal velo di una Madonna di Piero della Francesca. Qui tutte le piante sono nel posto giusto per dare piacere, per farci innamorare di loro, del giardino, dell’atmosfera che trasmette. È un concerto a quattro mani tra l’uomo e la natura scritto su uno spartito di eleganza in cui niente è lasciato al caso: questo è il linguaggio universale del giardino.
Una volta sono andato a raccogliere fiori da taglio con il più bravo fioraio italiano che conosca, nel suo giardino di produzione, inizialmente ero quasi in imbarazzo poiché, abitualmente, io i fiori li pianto ma non li raccolgo. Ma quell’esperienza mi ha fatto capire che ci poteva essere una forza straordinaria dentro a un mazzo di fiori recisi. Nelle sue mani non c’era solo materiale da decorazione, ma un inno alla vita. In un ramo di fiori raccolti dal giardino vengono a contatto due mondi inconciliabili: quello spontaneo della natura e quello intellettuale dell’estetica. Contrariamente a quanto si pensi, cogliere la pianta di un giardino può diventare un omaggio alla vitalità effimera concentrata nel fiore per renderla eterna. In quel gesto sono ammesse perfino le imperfezioni, asimmetrie, sfumature o macchie, poiché rimangono espressione di vita e di purezza. Al contrario la mercificazione di fiori imbalsamati, tutti uguali e tutti troppo perfetti, non potrà mai discostarsi dalla volgarità.
Ricordo che chiesi al fioraio Raimondo Bianchi come fosse possibile che ci fosse qualcuno incapace di amare i fiori o di non vedere la differenza tra una sua composizione e un prodotto commerciale. La sua risposta fu illuminante: «Penso che tutti sappiano cogliere la bellezza, anche se qualcuno finisce per distrarsi rapidamente da essa». La durata del tempo in cui siamo disposti a farci sedurre dipende da tanti fattori, tra cui, quello dominante, è quello culturale che può anche creare timidezze legate al genere.
E pensare che la figura del virile James Bond si era ispirata a un appassionato di fiori. Sir Peter Smithers era infatti un agente segreto al seguito di un certo Jan Flemming che, tra l’altro, era l’autore di 007. Bond, nella vita reale era stato spia e grande collezionista di Nerina, Magnolia, Daphne. Quando lo conobbi era un pacifico vecchietto alto due metri che si emozionava ancora mostrandomi il libro che sua madre gli aveva regalato da bambino per annotare tutti i fiori che avrebbe coltivato.
Impossibile rimanere indifferenti davanti alla bellezza della natura, anche se troppo spesso la nostra percezione di essa è filtrata da preconcetti sociali che spesso sono legati all’orientamento sessuale. Chissà se tutti hanno realizzato che i fiori, cioè la parte più emozionante, seducente, poetica e sensoriale di un giardino, non è niente di meno che l’organo sessuale delle piante? In un film-documentario sull’artista e paesaggista brasiliano Roberto Burle Marx, diretto da Joao Vargas, c’è una sequenza esilarante sugli ultimi attimi di sua madre. La sgranata ripresa originale in super 8 indugia su un angolo del giardino dell’artista con molte piante grasse e la voce narrante si fa quella di sua mamma: «Roberto... che bella questa parte del tuo giardino, con questi Cereus vigorosi: sono bellissimi. Sembrano decine di peni eretti che escono dal terreno». La voce del film cambia, diventa quella maschile di Burle Marx che conclude la sequenza: «Quella fu l’ultima frase di mia madre che si lasciò morire serenamente dopo pochi minuti in giardino».
Il sentimento per il giardino è una vocazione spontanea, crea dipendenza a uomini e donne, ad ogni fascia di età, ed è fatto di piacere e mente occupata in ideali alti, mentre le mani si prendono cura della terra. C’è una scena bellissima di un altro film: è quella del labirinto in Orlando, tratto dall’omonimo romanzo di Virginia Woolf della regista Sally Potter. Virginia Woolf era l’amante di Vita Sackville-West e la figura di Orlando si ispira a lei. La trama è di un romanzo fantastico, in cui il protagonista, un nobile inglese del XVI secolo, viene decorato cavaliere dell’Ordine della Giarrettiera dalla regina Elisabetta I. La sovrana rimane così estasiata dalla sua bellezza dall’ordinargli di non invecchiare mai. Orlando obbedisce e compie numerose avventure attraverso i secoli, tra cui un cambio di sesso spontaneo che lo porta a conoscere i molti aspetti diversi della vita, tra costume, ragione e sentimento. Nel film, la scena della trasformazione avviene con una corsa dell’attrice protagonista Tilda Swinton attraverso un’alta siepe che si fa sempre più angusta. Correndo Orlando, trasforma il suo aspetto, i suoi abiti e, divenuto donna, rimane incastrata con la larga gonna tra i rami. Cade a terra e stupita pronuncia la frase: «... Natura, Natura: prendimi, sono la tua sposa».
Nel fare un giardino, ogni giardiniere diventa padre e madre senza gerarchia. Senza complessi si deve occupare di aspetti pratici, molto poco poetici, come trovare il concime più adatto, collocare la compostiera, tenere affilati i suoi utensili, e ottimizzare le risorse che ha a disposizione. Vestito con abiti fangosi e poco sensuali, con braccia e gambe graffiate e piene di punture di insetti, il giardiniere ha mani callose che stanno a contatto con un mondo vivo ed estatico che è l’alter ego di quello virtuale a cui ci siamo assuefatti. La sua mente si occupa di decifrare e conciliare profumi, colori, luci e volumi in continuo divenire fino a sublimarne il corpo. Stando in giardino si riesce a conciliare la nostra parte femminile e quella maschile perché qui corpo e mente sono un’unica cosa, nella terra si conservano entrambi gli universi. Proprio come in una pianta evoluta, in cui maschile e femminile, io e noi, presente e futuro sono tutt’uno.
Alcuni fiori, con il loro aspetto inequivocabilmente simile a organi genitali, hanno interessato artisti. La calla, per esempio, è stata d’ispirazione a Robert Mapplethorpe, che voleva dichiaratamente richiamare il sesso. Anche Georgia O’Keeffe, a cui sono stati spesso attribuiti giudizi sessisti di natura pseudo-freudiana, indagava solamente l’ispirazione dentro i soggetti floreali, come fece spesso con iris e dature.
Certo il mondo vegetale fornisce infiniti spunti per simbolismi sessuali: ci sono piante misteriose che hanno sfidato le sacre regole della simmetria e della praticità fino a diventare opere d’arte. Lo straordinario albero di Couroupita guaianensis, produce dal tronco cascate di fiori carnosi e profumati a forma di cobra. Per legare i suoi frutti, simili a grossi testicoli appesi, fa oscillare un mazzo di pistilli contrapposto all’ovario per garantirne l’impollinazione. Quando il botanico fiorentino Odoardo Baccari, in una foresta del Borneo si trovò di fronte a uno dei più grandi fiori al mondo, fu talmente impressionato dalla sua forma fallica che, catalogandolo per primo, scelse il nome inequivocabile di Amorphophallus titanus. Osservando il fiore delle rampicanti Clitoria è facile immaginare a cosa somiglino: possibile tanta bellezza possa imbarazzarci? Non abbiamo forse avuto origine anche noi dallo stesso luogo?