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 2020  maggio 17 Domenica calendario

C’era una volta la malaria

Cinquant’anni fa, il 17 novembre 1970, l’Organizzazione Mondiale della Sanità dichiarava l’Italia libera dalla malaria. Non c’erano più stati casi autoctoni dal 1962, gli ultimi dei quali registrati in provincia di Palermo. Dopo oltre duemila anni, durante i quali i plasmodi e in modo particolare il letale  falciparum, trasmessi da zanzare del genere  Anopheles, avevano falcidiato le popolazioni della penisola, furono sconfitti. 
Lo studio scientifico della malaria e della lotta antimalarica ha visto i ricercatori italiani spiccare a livelli internazionali, ed è difficile trovare qualche altro settore biomedico dove la scienza italiana abbia raccolto altrettanti risultati e riconoscimenti. L’Italia ha organizzato dal 1898 attività di ricerca rilevanti attraverso la Società Italiani per gli Studi della Malaria, la Stazione Sperimentale per lo Studio della Malaria finanziata dalla Rockefeller Foundation, l’Istituto di Malariologia e le scuole malariologiche organizzate con la Lega delle Nazioni. L’eradicazione fu possibile in Italia in tempi relativamente rapidi perché l’ecosistema che manteneva l’infezione, in particolare le paludi retrodunali e l’agricoltura estensiva nel centro sud, era instabile. Gli interventi antimalarici e i miglioramenti agricoli e abitativi riducevano i contatti tra uomo e zanzare con crescente efficacia. Il DDT diede il colpo finale.
Il parassita fu identificato nel 1880 dal medico francese Alfonse Laveran e l ciclo di trasmissione fu scoperto tra il 1897 e il 1898 dal medico coloniale inglese Ronald Ross e dallo zoologo italiano Battista Grassi. In quegli anni morivano più di diecimila persone e circa 2 milioni si ammalavanoogni anno a causa della malaria. 
Stabilito che le zanzare trasmettono il parassita e siccome già si disponeva di un trattamento farmacologico, la corteccia dell’albero della china che contiene l’alcaloide chinina, furono sperimentate in Italia, ma non solo, diverse strategie di lotta: protezione meccanica di persone e abitazioni per impedire le punture delle zanzare, bonifica (idraulica, agraria e igienica, quindi bonifica integrale) delle aree paludose per eliminare i focolai larvali di zanzare e cura dei malati per impedire che morissero o che le zanzare si infettassero. Senza tralasciare l’istruzione per i contadini, così che potessero leggere a capire le informazioni sanitarie e le leggi per prevenire o curare l’infezione. 
L’Italia emanò diverse legislazioni, tra cui la più importante rendeva disponibile a prezzo di costo e poi gratuitamente il “chinino di stato” a partire dal 1900; ma non meno rilevante fu la legge Mussolini del 1928 che stanziò 7 miliardi di lire per la bonifica integrale dell’Agro Pontino. La malaria intanto declinava naturalmente, al di là degli interventi sanitari, proprio in ragione di condizioni ecologiche che cambiavano: ad esempio, siccome le zanzare malarigene italiane sono zoofile e indifferenti se pungere uomo o animale, il distanziamento tra animali e uomo nel progresso delle stabulazioni riduceva il rischio di punture e infezioni.
La malaria riprendeva, però, durante le due guerre e, verso la fine della seconda, gli Alleati portarono in Italia il DDT, usandolo contro l’epidemia di tifo a Napoli del 1943 e poi sperimentandolo contro le zanzare a Castel Volturno, nell’Agro Romano, nella Valle del Liri e in Agro Pontino. Risultò che aveva un effetto residuo e repellente per le zanzare, allontanandole dalle abitazioni se spruzzato a 2mg per metro quadrato sulle pareti delle case, sopra due metri di altezza e sui soffitti. Costrette a restare all’aperto, dove anche d’estate nelle zone temperate la temperatura scende sotto i 18-19 gradi, le zanzare non permettevano più al parassita di svilupparsi al loro interno e morivano dopo quasi un mese senza essere diventate infettanti.
L’azione sanitaria che avrebbe portato all’eradicazione fu possibile grazie all’offerta dell’UNRRA (United Nations Relief and Rehabilitation Administration), che nel 1946 stanziò 1.179.075.000 di lire per un programma «quinquennale» volto a risolvere definitivamente il problema in Italia attraverso l’impiego «esclusivo» dei nuovi insetticidi ad effetto residuo. Il piano fu predisposto nel gennaio del 1946 da Alberto Missiroli, con interventi diversi a seconda dell’epidemiologia locale. L’Alto Commissariato per l’Igiene e la Sanità (ACIS) lo adottò attuandolo secondo criteri strategico-organizzativi diversi. L’ultimo caso fatale, cioè da falciparum, fu nel 1948. Questa specie sparì nel 1952.
L’esperienza italiana è stata ritenuta esemplare in tutto il mondo e, insieme ad altre, indusse nel 1955 l’OMS a varare un piano mondiale per l’eradicazione della malaria, usando in combinazione DDT e clorochina; piano che dovette ritirare nel 1969. Si scoprì che nelle aree endemiche tropicali e subtropicali e a elevatissima trasmissione il DDT è inefficace perché anche lontano dalle abitazioni le temperature consentono lo sviluppo del parassita all’interno delle zanzare. L’ecologia della malaria in quelle aree è diversa, nel senso che non dipende dalle paludi e, a differenza di quanto accadeva in Italia, l’azione umana sull’ambiente, come l’agricoltura, aumenta la presenza di focolai larvali e, quindi, la trasmissione.
Negli ultimi due decenni nel mondo la malaria è in declino, ma ancora uccide oltre 400mila persone e causa 230milioni di casi clinici ogni anno. Il 67% per cento dei morti sono bambini di età inferiore a 5 anni e il 93% dei casi (94% dei decessi) hanno luogo in Africa subsahariana.