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 2020  maggio 17 Domenica calendario

A Parigi si è riaccesa la cultura

Negli ultimi due mesi, le oltre duecento librerie indipendenti di Parigi, cuore pulsante della vita culturale francese, sono parse preda di un incantesimo. Nonostante i riflessi di un sole più primaverile che mai, le loro vetrine sono rimaste ingombre dei volumi della stagione invernale, e i volti degli scrittori hanno continuato a fissare lettori immaginari dalle locandine di presentazioni annunciate e mai avvenute. 
Per tradizione illuminista, ma anche grazie a una sacrosanta legge promulgata nel 1981 – quella, semplice ed efficace, sul prezzo unico del libro –, la Francia è rimasta un Paese di lettori non del tutto rassegnati all’olocausto culturale della grande distribuzione: lettori ancora pronti a tentare l’avventura dell’acquisto di un romanzo o di un saggio che non figurino nella classifica degli scartafacci più venduti da Amazon. Dall’11 maggio, le librerie indipendenti hanno ricominciato ad accoglierli in condizioni di sicurezza (nella maggioranza dei casi: obbligo di utilizzo della mascherina e del gel idroalcolico fornito all’entrata, rispetto di una ragionevole distanziazione fisica). La risposta è stata immediata: i clienti di librerie storiche come «L’écume des pages», «Compagnie», «Les cahiers de Colette» sono accorsi numerosi nei primi giorni del déconfinement
Xavier Moni, presidente del Syndicat de la librairie française, oltre che libraio in proprio (sua la bellissima libreria «Comme un roman» nel Marais), conferma i segnali incoraggianti di questa riapertura, ma è poco incline a facili ottimismi: «Nella nostra libreria il primo giorno abbiamo avuto un fatturato doppio rispetto a quello di un martedì normale, ma è un po’ un effetto rimbalzo dopo la lunga chiusura. Ad essere decisivi saranno i mesi a venire, in particolare da settembre a Natale: il settore era già strutturalmente fragile, la crisi economica rischia di far chiudere molti librai». Pare inoltre che il numero dei lettori non sia aumentato durante i due mesi di confinement, come invece si sarebbe potuto sperare. Secondo Moni un grosso aiuto potrebbe venire dallo Stato: le librerie indipendenti dovrebbero essere messe in condizione di poter competere con Amazon sulle spedizioni, grazie a tariffe postali preferenziali. «Per lo Stato il costo sarebbe minimo, per noi il beneficio sarebbe vitale».
Le librerie sono al momento gli unici luoghi di cultura aperti a Parigi: le centinaia di sale cinematografiche, di teatro o di concerto rimangono chiuse a tempo indeterminato. Qualche iniziativa simbolica ha cercato di rendere meno assordante il loro silenzio. Di forte suggestione è stata quella di uno storico cineclub del Quartiere Latino, La Clef, occupato ad opera di un collettivo da quando i suoi spazi sono stati acquistati da una banca, la Caisse d’Epargne: dal 17 aprile i cinefili squatter della Clef hanno proiettato ogni venerdì sera un film d’essai sulla facciata cieca di un edificio antistante (le pellicole prescelte sinora: La morte corre sul fiume di Charles Laughton, L’uomo senza paura di King Vidor e Porco rosso di Hayao Miyazaki). 
In un contesto più istituzionale, meno partecipativo, la Philarmonie di Parigi, scrigno architettonico dall’acustica celestiale, ha programmato una serie di concerti a porte chiuse che, una volta registrati, saranno accessibili a distanza. Ma, per ragioni di sicurezza sanitaria, il numero degli strumentisti sul palco non potrà eccedere la dozzina, e i fiati, potenzialmente contaminanti, saranno esclusi dall’esperimento... La riapertura della Philarmonie porrà nuove esigenze organizzative, ha spiegato in un’intervista a «Le Figaro» il direttore Laurent Bayle: normalmente l’80% dei musicisti che si producono in scena sono invitati dall’estero o da altre regioni francesi; se la sala riaprirà, come sperato, a settembre, sarà invece necessario, almeno sino all’inizio dell’inverno, ricorrere ai soli interpreti già presenti nella capitale. 
I direttori dei grandi musei, abituati ad allestire mostre sempre più rivolte al turismo di massa, dovranno anch’essi rivedere il funzionamento delle istituzioni che presiedono: hanno già previsto, per l’autunno, di puntare su esposizioni meno spettacolari, più mirate, grazie alla valorizzazione delle collezioni permanenti. 
Ad essere in ballo è l’identità di Parigi in quanto centro cosmopolita di cultura. Nell’ultimo decennio questa identità è corrisposta sempre di più a un ruolo d’immensa piazza dell’offerta culturale, un’offerta, però, sempre meno legata alla realtà della città. Sembra essersi ridotta la sua capacità d’ispirare i talenti cresciuti al suo interno, di generare tendenze altrettanto significative di quelle prodotte in passato. 
È probabile che, come sostenuto da Michel Houellebecq in una recente lettera aperta, il mondo si riscopra uguale a se stesso dopo la fine l’epidemia, soltanto un poco peggiore. In questa prospettiva Parigi resterà un grande mercato culturale, ma impoverito, e più omologato. Non è però da escludere, e sarebbe da sperare, che, per la necessità di attingere alle risorse del proprio patrimonio e dei propri talenti, la Ville Lumière riesca a innestare nuova linfa nel terreno sempre più arido della cultura, e torni così in prima persona sul proscenio della storia artistica e intellettuale.