La Stampa, 17 maggio 2020
Arrestato il banchiere del genocidio in Ruanda
Viveva lì da tre anni, un vecchio africano. «Camminava a fatica. Quando lo salutavamo, rispondeva borbottando qualcosa in francese», racconta un vicino, in una stradina di Asnières-sur-Seine, nella banlieue nord-ovest di Parigi.
Ieri mattina, alle sei e mezzo, quando i poliziotti francesi sono arrivati nell’appartamento, quel signore di 84 anni ha insistito: non era Félicien Kabuga, organizzatore e finanziatore del genocidio in Ruanda, che nel 1994, in un centinaio di giorni d’isteria collettiva, portò all’assassinio di più di 800mila persone. Avvistato l’ultima volta in Germania nel 2007: sfuggito alla polizia, che però era riuscita a raccogliere un campione del suo Dna. Ieri i francesi ne hanno prelevato a quell’uomo dall’aria mesta. E hanno scoperto che combaciava: era Kabuga, nessun dubbio.
È durata 23 anni la sua fuga rocambolesca tra Africa ed Europa. Fu il fondatore della Radio-televisione libera delle mille colline, che diffondeva un messaggio di morte, incitando gli Hutu, come Kabuga, a uccidere i Tutsi. «È l’Adolf Eichmann di quel genocidio – sottolinea Félicité Lyamukuru, alla guida di Ibuka Europa, la principale associazione dei superstiti del massacro -. Fu lui ad assicurarne la logistica, anche comprando all’estero lotti importanti di machete». Ricco uomo d’affari, lo fece già nel 1993, molto prima di quel 6 aprile 1994, quando l’aereo con a bordo il presidente ruandese Juvénal Habyarimana esplose nel cielo della capitale, Kigali. Allora si scatenò il genocidio dei Tutsi, accusati di essere all’origine dell’attentato.
Ma i machete Kabuga li aveva già distribuiti, in particolare tra le milizie Hutu Interahamwe: tutto era pianificato. Figlio di poveri contadini, da giovane vendeva sigarette e vestiti usati per strada nella regione natale di Byumba. Determinato, sbarcò a Kigali, dove aprì qualche negozio e rapidamente fece fortuna. Nel 1994 era l’uomo più ricco del Paese. E l’anno precedente una delle sue figlie aveva sposato il figlio maggiore del presidente Habyarimana. Presiedeva il Fondo di difesa nazionale: obiettivo, raccogliere i soldi necessari per finanziare la caccia agli «inyenzi», gli scarafaggi, come gli Hutu chiamavano i Tutsi.
Kabuga scappò già nel luglio 1994, dopo che l’Fpr, il Fronte patriottico ruandese (a maggioranza Tutsi) occupò Kigali e mise fine al genocidio. Fuggì in Svizzera, da dove venne espulso. Da lì se ne andò a Kinshasa e poi a Nairobi, dove avrebbe vissuto diversi anni.
Ricercato dal 1997, gli Usa offrirono una taglia di cinque milioni di dollari ma invano. Ora sarà estradato all’Aia, dove verrà giudicato dal Meccanismo residuale, che prosegue l’opera del Tribunale penale internazionale per il Ruanda dell’Onu. Ad Asnières è stato ritrovato in compagnia di un figlio, in un appartamento non lussuoso, ma confortevole. Ancora oggi la Francia è accusata di essersi voltata dall’altra parte nei mesi del genocidio. Ieri Parigi celebrava «la cattura di uno dei fuggitivi più ricercati del mondo». —