La Lettura, 17 maggio 2020
Bonifacio impose la clausura a tutte le suore
Etimologicamente, «monaco» è colui che sta da solo. Dopo le prime forme eremitiche, però, il monachesimo si è organizzato in forme perlopiù comunitarie e la solitudine si è trasformata in segregazione dal «mondo», marcata dai muri dei monasteri, dotati di tutto il necessario per una vita autosufficiente.
Se i monaci maschi godevano di una certa libertà di movimento, le donne restavano rinchiuse nei monasteri, in «clausura» appunto. Cesario di Arles all’inizio del VI secolo fu il primo a stabilire per le monache della sua diocesi l’obbligo di astenersi da qualsiasi contatto col mondo esterno, parenti inclusi, in modo da conservarsi pure per una vita votata alla preghiera; analoghe indicazioni furono spesso riprese in epoca carolingia e dopo, sinché nel 1298 Papa Bonifacio VIII con la bolla Periculoso stabilì che la clausura era obbligatoria «per tutte le monache, presenti e future di qualsiasi congregazione e ordine, in qualsiasi parte del mondo».
Il Concilio di Trento (1545-1563) estese quella disposizione pure alle comunità di donne impegnate nell’assistenza ai poveri, sebbene non pronunciassero voti monastici: la vita religiosa femminile doveva coincidere con la clausura.
Tuttavia, la resistenza ai decreti si manifestò in varie forme – ad esempio l’attività scolastica per cui le mura dei conventi si aprivano ad accogliere studentesse – oppure col rilancio, a partire dal XVII secolo, delle attività assistenziali, che sono per loro natura extraconventuali.
Poco alla volta, la clausura venne a caratterizzare soltanto le forme di vita religiosa femminile votate esclusivamente alla contemplazione e alla preghiera, come avviene oggi.