La Lettura, 17 maggio 2020
Dopo la peste nera l’impero cinese si salvò con un New Deal
Nel corso del XIV secolo la Cina, all’epoca la più sviluppata società del pianeta, visse una crisi di sistema talmente grave da far credere che ormai si stesse per toccare un punto di non ritorno. Riuscì però a trovare, al suo interno, con una vicenda che sembra vissuta oggi, le soluzioni per evitare il collasso, in particolare grazie alle decisioni predisposte dal nuovo governo Ming.
Per circa tre secoli la Cina aveva goduto di condizioni meteorologiche favorevoli, il cosiddetto optimum climatico medievale. Ma tra la seconda metà del Duecento e gli inizi del Trecento dappertutto il clima inizia a mutare. I motivi? Tanti, tra cui la ridotta azione del Sole e lo squilibrio profondo nelle grandi pompe climatiche del pianeta, gli Oceani Pacifico e Atlantico. Fatto sta che per la Cina cominciò un periodo terribile. Le temperature calarono. Il clima si irrigidì. L’alternarsi tra precipitazioni violente e lunghi periodi di siccità divenne la norma. Nel 1306, il primo episodio eclatante: dalle ormai inabitabili steppe mongole enormi colonne di disperati si riversarono nelle terre del Sud, ancora ricche di risorse: un disastro umanitario che coinvolse circa tre milioni e mezzo di persone. Da allora la situazione divenne sempre più grave. A causare il maggior numero di vittime furono la peste nera, che raggiunse la sua massima virulenza nel decennio 1352-1362, ed eventi meteorologici da film catastrofico, con supertifoni con onde alte anche più di venti metri che devastarono le coste. Oppure tornadi che misero a dura prova il distretto urbano e industriale del fiume Azzurro, allora il più florido del pianeta; e che distrussero le dighe sul fiume Giallo e il corso del Gran Canale, collegamento artificiale essenziale per i trasporti, che univa Sud e Nord del Paese.
La risposta del governo mongolo Yuan seguì il modello confuciano, cioè fu di natura redistributiva. Fu messo in campo un enorme sistema di sussidi per la popolazione, in quantità di grano e in somme di denaro cartaceo da fornire pro capite agli indigenti, a pioggia. Una misura di emergenza che divenne cronica, tanto che, in alcuni anni, come nel 1329, toccò anche il 20-30% del budget statale con una media di sostegno che si mantenne, lungo il secolo, tra il 5 e il 10%. Un aumento delle uscite alla lunga impossibile da sostenere, senza che ci fossero altre politiche. L’unica risorsa fu stampare cartamoneta, la misura che oggi chiamiamo helicopter money (gettare denaro dall’elicottero) e che la Fed americana sta ora praticando con sussidi massicci. Nella Cina di allora ne conseguirono una svalutazione incontrollabile e un forte aumento della pressione fiscale.
Crisi ambientale e crisi socioeconomica andarono a braccetto fino al crac, cui si giunse tra la fine degli anni Cinquanta e gli anni Sessanta. Le rivolte nel Sud della Cina aumentarono. La crisi economica divenne galoppante in una situazione in cui le fondamenta del Paese boccheggiavano. L’imperatore, considerato emanazione del Cielo, non godeva più del suo favore né di quello popolare; e la dinastia mongola si presentava imbelle. Il cambiamento era maturo. E arrivò, violento, nel 1368, con i Ming cinesi che spodestarono gli Yuan.
Il cambiamento non fu indolore e gli strascichi di sollevazioni popolari come di minacce esterne perdurarono. Al nuovo regime tuttavia fu chiaro che il sistema redistributivo tradizionale a pioggia non foss’altro che un palliativo che alla lunga avrebbe reso l’azione dello Stato inefficace. Occorrevano scelte di ampio respiro. La chiave fu investire in grandi opere pubbliche, una sorta di New Deal medievale, con il ripristino degli asset fondamentali per il Paese: la riattivazione di una solida struttura che garantisse la difesa dai nemici esterni; una rete di raccordo per i commerci; il reintegro della trama dei trasporti fluviali interni; la riqualificazione del tessuto urbano.
Per far fronte a queste sfide, milioni di persone furono impiegate nella ricostruzione di opere mastodontiche, a partire dalla muraglia cinese, con le sue nuove 25 mila torri in mattoni. Il Gran Canale fu ripristinato. Il fiume Giallo ricondotto alla funzionalità e ricomposte le dighe distrutte. Sorse ex novo la Città Proibita, per la quale furono impiegati 200 mila operai. Una serie di infrastrutture che permisero il rilancio del Paese, basilari per il risveglio di un impero che fu ancora a lungo la prima potenza mondiale.