Robinson, 16 maggio 2020
Il Centro Studi Primo Levi scrive a Robinson
«E buttare nella mischia un sommo come Primo Levi. Complimenti!». Il rimprovero è comparso qui su Robinson poco dopo l’inizio del torneo letterario che ha messo in gara l’uno contro l’altro, di settimana in settimana, 32 grandi libri del Novecento, e che si è concluso il 18 aprile con la vittoria di Se questo è un uomo.
Come leggerlo questo ennesimo successo di Levi, stavolta in una gara che Giorgio Dell’Arti ha lanciato con passione ( slogan: «Il romanzo della nostra giovinezza» ), per calcolo ( aumentare i lettori e fidelizzarli arruolandone alcuni come giurati), insistendo sulla sua futilità ( guardate che è solo un gioco anche se scherziamo con le cose serie, anzi, proprio per questo) ma sottolineandone la provocazione ( i 32 ve li abbiamo scelti noi escludendo libri famosi, al loro posto ne troverete alcuni che vi sorprenderanno, e tanto meglio se vi scandalizzeranno addirittura)?
Antefatto: l’anno scorso il centenario della nascita di Levi ha dato conferma che la sua figura comunica qualcosa di essenziale a una grande quantità di interlocutori: in tutto il mondo, in ogni fascia di età, a qualsiasi grado d’istruzione. Primo Levi non ha un pubblico solo, ne ha tanti, e lo si deve alla ricchezza del suo profilo intellettuale e umano. Ora, in questo successo sempre più largo si annida un pericolo: la sua trasformazione in un «sommo», altissimo e muto.
Robinson ha costruito il suo torneo sul modello del torneo di Wimbledon: tabellone diviso a metà ( pagina di sinistra e pagina di destra, maestose e colorate), sedici concorrenti schierati su ciascun lato, quattro turni a eliminazione diretta, match finale tra i vincenti delle due metà. Proprio come nei tornei di tennis si sono elette due teste di serie, collocate ai due lati opposti del tabellone, forse immaginando che sarebbero state loro a giocarsi la finale: erano Levi e Calvino, ma Calvino è stato eliminato al primo turno, come non è raro che capiti a una testa di serie, e lo scrittore che lo ha battuto, Tabucchi, se l’è vista poi nella finalissima contro Levi, che nella sua metà di tabellone eliminava via via Landolfi ( Racconto d’autunno), Fruttero & Lucentini ( La donna della domenica), Vassalli ( La chimera) e Fenoglio ( Una questione privata).
Il match conclusivo tra Se questo è un uomo e Sostiene Pereira è finito 4 a 3, e qui si deve ricorrere al replay come per i punti controversi. Finora si è usato il termine «libri», ma il torneo di Robinson parla di «romanzi». È un romanzo Se questo è un uomo?
Si è fatto cenno ai giurati, e si è appena detto che Levi l’ha spuntata in finale per 4 a 3: i giurati erano 7 in tutto, e questo numero di persone ha deciso la maggioranza delle partite. È stato significativo questo torneo?
A entrambe le domande la risposta è sì. Nel primo caso, non certo perché Se questo è un uomo sia un romanzo, ma perché ogni opera destinata a sopravvivere si deve misurare e scontrare con innumerevoli fraintendimenti: perciò, bisogna tollerare di vedere definita l’opera prima di Levi – qualche volta anche da studiosi di professione – come un romanzo.
Ma soprattutto: quando dei lettori si candidano a leggere, quando fanno una scelta, quando alla fine scrivono per motivarla dicendo cosa gli piace e cosa non gli piace e perché, anche nella maniera più ingenua, più goffa o più presuntuosa, devono essere ascoltati, perché hanno pensato che valesse la pena parlare di libri ( magari solo per vedere il proprio nome sul giornale: e va bene) e perché ci suggeriscono di che cosa avvertono il bisogno. Ecco perché bisogna rispondere «sì» anche alla domanda sul senso dei piccoli numeri di queste giurie.
Su Se questo è un uomo si possono leggere, nel sito del torneo, 50 giudizi. Alcuni sono negativi, perfino sprezzanti; ma chi dice di vedere in Se questo è un uomo «una lettura obbligata e scolastica» sta manifestando un’insofferenza sincera cui non ci si può limitare a rispondere mostrando che quella di Levi è una scrittura bella e versatile. Si tratta, piuttosto, di strappare Levi al ruolo del «sommo», all’immagine unica e statuaria del Testimone: di sottrarlo all’obbligo scolastico, di scrostare dalle sue pagine la patina solenne e punitiva che le ha ricoperte, e che certo non si deve all’autore.
È significativa, fra i giurati del torneo, la reazione di chi, nella prima partita Landolfi vs. Levi, ha scelto Landolfi: non solo per un giudizio di valore letterario, ma anche per bisogno di evasione, di ambiguità di significati, di gioia linguistica. Si diceva poco fa che Levi è capace di raggiungere molti pubblici diversi. Ma quanti lettori sono al corrente che ha scritto geniali storie di fantascienza, interviste immaginarie con animali, poesie condotte come se fossero racconti, articoli sui giochi e sulle lingue che per chi li legge sono come una granita in una controra estiva? Quanti arrivano a cogliere, in Se questo è un uomo, la quintessenza del suo essere testimone, cioè l’umorismo, l’autoironia, il senso del grottesco e dell’assurdo con cui Levi riesce a muovere la macchina tremenda del Lager? È possibile che molti lettori si accorgano di tutto questo, ma che poi nei loro giudizi pubblici si censurino: è possibile che si vietino di parlarne perché intimiditi da un’immagine monumentale.
A questo punto bisogna tornare al lettore che rimproverava Robinson di aver buttato nella mischia perfino Primo Levi: il quale – lo si può affermare con sicurezza – se fosse stato ancora presente si sarebbe divertito perché è uno scrittore agonistico: un uomo di sfide con se stesso, con la materia, con ogni cosa che sia bella e difficile. È uno scrittore al quale piace giocare e sperimentare. Magari nel torneo di Robinson non ci sarebbe entrato di sua sponte, ma non gli sarebbe dispiaciuto vedersi coinvolto. Ci avrebbe incontrato molte persone da ascoltare e con cui parlare. Ci avrebbe trovato ancora una volta un pubblico nuovo. Avrebbe chiesto a quei lettori, guardandoli con occhi vispi: «Siete proprio sicuri che Se questo è un uomo è un romanzo?».
(L’autore è consulente letterario del Centro internazionale di studi Primo Levi, Torino)