Jared Diamond da anni studia i mutamenti delle civiltà legandoli alle malattie. In passato i virus hanno ridisegnato il corso della storia, Diamond su questo ha scritto uno dei suoi libri più suggestivi Armi, acciaio e malattie (Einaudi), con il quale ha vinto il Pulitzer: tredicimila anni condensati in 400 pagine nelle quali spiega come i germi siano stati protagonisti della nostra evoluzione al pari del progresso tecnologico e culturale.
L’approccio interdisciplinare, che spazia dalla geografia alla geologia, dalla biologia all’antropologia, rispecchia la personalità poliedrica di questo studioso atipico, tra i più attesi ospiti di "Vicino/lontano On", rassegna in streaming dal 18 al 22 maggio, nelle date in cui a Udine avrebbero dovuto svolgersi il festival "Vicino/lontano" e il Premio Tiziano Terzani, rinviati all’autunno.
Intervistato dal presidente del comitato scientifico Nicola Gasbarro, Diamond aprirà il forum digitale
lunedì alle 19. Ottantaduenne professore di geografia all’università di Los Angeles, appassionato di birdwatching e ornitologo, figlio di una linguista e di un medico, laureato in biologia, specializzato in fisiologia, viaggiatore e antropologo.
Diamond ha vissuto in tanti paesi, tra cui la Nuova Guinea, dove si era trasferito per studiare gli uccelli.
Ogni suo saggio è un bestseller. Solo per citarne alcuni: Collasso, Il mondo fino a ieri, Crisi (tutti Einaudi).
Non deve essere facile per lei restare chiuso in casa?
«Qui a Los Angeles la situazione sta peggiorando. Cerco di uscire il meno possibile, piccole passeggiate per osservare gli uccelli. Per il resto scrivo, prendo lezioni di italiano su Zoom, mi dedico alla Le due città di Mario Soldati».
I virus possono stravolgere una civiltà?
«Quando Cristoforo Colombo sbarcò in America nel 1492, il principale ingrediente della vittoria nella guerra di conquista non furono le armi ma i germi, dal vaiolo al morbillo, malattie contro le quali i nativi americani non avevano difese immunitarie».
Questo insegna che la supremazia nel passato non è una garanzia per il futuro.
«L’impero azteco fu distrutto da un’infezione. Cortés era sbarcato sulle coste del Messico con 600 uomini ed era riuscito a entrare a Tenochtitlàn perdendo pochissimi uomini. Ma ciò che aiutò gli spagnoli fu il vaiolo, portato da una nave proveniente dalla colonia di Cuba su cui viaggiava uno schiavo infetto».
Ne usciremo più forti o indeboliti?
«Dipenderà dal nostro comportamento. Ai tempi di Colombo gli europei avevano il vantaggio dell’immunità, oggi non è così, nessuno è immune. Se vincerà uno spirito collaborativo, se il vaccino verrà condiviso, non c’è da temere. In caso contrario il virus continuerà a diffondersi e i paesi poveri diventeranno focolai di nuove malattie, con enorme rischio per tutti».
Starà a noi trasformare la crisi in un’opportunità?
«Una crisi è un punto di svolta, le cose possono cambiare in meglio o in peggio. Una visione ottimista prevede la possibilità che questa crisi aperta dal Covid spinga a un’azione di collaborazione mondiale. Una sinergia che servirà ad affrontare problemi ancora più importanti come quello del cambiamento climatico, che richiede soluzioni globali in tempi brevi».
La Cina acquisterà sempre maggiore peso?
«Negli Stati Uniti questa eventualità è diventata una paranoia. Molti notano che la Cina è efficiente, che ha tempi di reazione molto veloci. Tutto vero, ma è una dittatura, capace come tutti i regimi di fare cose buone accanto a cose terribili. Guardi cosa ha fatto anni fa, penso alla chiusura delle scuole e delle università e al blocco degli insegnanti mandati a lavorare nei campi. Le nostre democrazie stanno vivendo momenti di frustrazione, ma vale sempre la frase di Churchill: "Sì, effettivamente la democrazia è la peggiore forma di governo… ad eccezione di tutte le alternative sperimentate finora"».
Dovremo aspettarci altri virus?
«Probabile. Abbiamo avuto l’Aids, la mucca pazza, la Sars, ebola, tutte malattie trasmesse dagli animali. Ora è comparso il Covid passato all’uomo dagli animali selvaggi».
Non si potrebbe vietarne il commercio?
«Sono usati nella medicina tradizionale cinese, sarebbe come se gli italiani rinunciassero alla pasta e al vino».
Come attrezzarsi allora per il futuro per evitare di ritrovarci nella stessa situazione?
«La cosa migliore sarebbe progettare piani a lungo termine, dotarci di stock di risorse su cui contare in futuro. Dovremmo imparare dalla Finlandia, uscita dallo shock della seconda guerra mondiale pronta a reagire a ogni evenienza. Invece ci siamo fatti cogliere impreparati, addirittura senza scorte di mascherine. Lo sa quanto costa una mascherina qui negli Stati Uniti?
Intorno ai 17 euro. La storia è un laboratorio, mai farsi cogliere alla sprovvista».