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 2020  maggio 16 Sabato calendario

Di che natura saremo?

Difficilmente si poteva immaginare un evento tanto avverso alla nozione di progresso della pandemia in corso. A Voltaire bastò il terremoto di Lisbona per convincerlo che non viviamo nel migliore dei mondi. Ma, a quasi tre secoli di distanza, le cose sono cambiate. E anche la loro interpretazione. Lo testimonia il nuovo saggio di Aldo Schiavone, Progresso, appena edito dal Mulino, che vede nello tsunami che ci ha investito la conferma sul campo delle proprie tesi. Come sostiene nella post- fazione, scritta nel pieno della pandemia, nulla più di questa attesta il rilievo preponderante della scienza e della tecnica nel mondo contemporaneo. Tutt’altro che riconsegnarci ai vincoli naturali che incombono sulle nostre vite, dobbiamo ulteriormente allentarli attraverso le risorse tecnologiche che abbiamo a disposizione. All’attacco violento del virus non si risponde tornando all’antica soggezione al destino naturale, ma dispiegando fino in fondo le potenzialità della storia umana.
Ma facciamo un passo indietro, lungo il percorso genealogico tracciato con la consueta maestria da Schiavone. Aperto dall’immagine, terribile e sublime, dell’Angelus Novus di Klee, che arretra verso il futuro in un oceano di rovine, l’autore richiama la doppia anima della modernità. L’una protesa in avanti nel progetto di continuo avanzamento, dal secolo dei Lumi alle filosofie della storia ottocentesche. E l’altra percorsa da una vena negativa, critica delle magnifiche sorti e progressive, nei confronti della natura con Leopardi, e della tecnica con Nietzsche e Heidegger. Una lacerazione ancora più marcata nel Novecento tra promessa di sviluppo illimitato e collasso di civiltà nella guerra e nello Sterminio.
Cosa dedurne quanto al progresso? È una realtà o un’illusione? Un sogno o un incubo? Da grande studioso dell’antichità, Schiavone evita una risposta immediata, optando per una genealogia di lunghissimo periodo, che getta fasci di luce sull’intera vicenda umana. La storia dell’uomo, inscritta in quella, più ampia, della vita, non ha un’unica dimensione. Muove lungo linee disomogenee e divergenti che richiedono analisi differenziate. Se sotto il profilo tecnologico una progressione dal semplice al complesso è innegabile, sul piano del governo politico il percorso è assai più accidentato. Mentre il mondo antico ha visto una straordinaria fioritura culturale, non sostenuta da un adeguato sviluppo tecnico, il mondo moderno, al contrario, non ha saputo contenere la dirompente rivoluzione scientifica in un quadro etico- politico all’altezza. Nonostante gli annunci con cui si è aperto, il nuovo secolo ha allargato lo scarto tra queste due dimensioni. È come se lo straordinario salto tecnologico misurasse con ancora più drammaticità le difficoltà dei regimi democratici in una crescente disparità tra potenza e controllo, scienza e democrazia. Solo una delle due frecce – quella della scienza – corre verso il futuro, mentre la traiettoria della politica minaccia continuamente di ritorcersi all’indietro.
Eppure secondo Schiavone la partita non è affatto chiusa. Intanto perché, nonostante i paurosi “ricorsi”, l’uomo mostra una certa capacità di recupero. Dopo tutto l’atomica è esplosa, con effetti micidiali, un’unica volta e il nazismo non ha vinto contro il mondo libero. Ma soprattutto perché l’inedito progresso della biotecnologia, penetrando nella sfera, prima preclusa, della vita umana, finisce per retroagire anche sulla storia, rompendo il confine che la separa dalla natura. Siamo vicinissimi alla frontiera che divide i due universi e anzi la stiamo già varcando, con effetti inediti sul futuro della nostra specie. La relazione, finora in equilibrio, tra storia della vita e storia dell’intelligenza si modifica giorno dopo giorno a favore della seconda con una potenza performativa che sembra spingere la vita – e dunque, prima o poi, anche la morte – nell’arco della nostra disponibilità. Nella nuova articolazione tra natura e cultura, scelta e destino, stiamo per sottrarre la storia dell’uomo alla naturalità della specie. L’essere umano, anziché ciò che è, potrà diventare ciò che vogliamo sia.
È l’intuizione più penetrante del libro di Schiavone, che lo immette in un terreno inesplorato sotto il profilo antropologico. Ma che pone un interrogativo di fondo su quello filosofico. La forza del suo discorso sta nell’individuazione del duplice dislivello che corre da un lato tra tecnica e politica e dall’altro tra storia della vita e storia dell’intelligenza. La scommessa è che l’incipiente riduzione del secondo divario possa, se portata a consapevolezza, favorire anche quella del primo. Ma ciò che resta da chiedersi, con Pascal e Kant, è se il limite – la finitezza – sia il residuo di una storia ancora incompiuta dell’uomo. Oppure il suo tratto costitutivo che, separandolo da se stesso, lo istituisce simbolicamente come essere umano.