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 2020  maggio 16 Sabato calendario

Orsi & tori

«Nei giorni scorsi le fake news sulla rete hanno superato per numero le notizie vere e corrette», avvisa il professor Mario Rasetti, guru mondiale del data science dalla Fondazione Isi di Torino, che ha diramazioni in vari Paesi del mondo e che a Boston, con Alessandro Vespignani, indirizza i modelli matematici per le epidemie e pandemie e più in generale per il mondo della medicina e della salute. Le fake news sono un’altra forma di pandemia che può condizionare la stessa democrazia. Spiega infatti Armen Sarkissian, fisico con un passato notevole nelle università inglesi e oggi presidente della Repubblica e della nazione Armenia: «Al di là del virus, l’accelerazione dell’uso della rete determina che un politico, un governante vengono giudicati nel giro di pochi secondi». La democrazia che esiste dai tempi dell’antica Grecia si basa sul voto a cui consegue un mandato per un certo numero di anni, durante i quali un politico, un governante possono espletare bene o male il proprio mandato. E finora il giudizio sia per i singoli che per i partiti veniva dato al turno elettorale successivo. Ora, appunto, è una questione di secondi. Una velocità che è alla radice della famelicità di notorietà, e quindi di populismo, da parte di politici e governanti. Per esempio, conquistando qualche foto e video mostrandosi con la mascherina tricolore al rientro in Italia di una giovane ragazza sicuramente vittima anche se sicuramente bizzarra (per esempio, per la sua vecchia performance nuda in strada sostenendo che si trattava di uno esperimento sociale, ammesso che non sia una fake). Oppure ricordando: «Al padre glielo avevo promesso che avremmo riportato Silvia a casa». Una famelicità che finisce per conquistare anche un compassato professore di diritto e avvocato di successo come il presidente del Consiglio, presente anch’egli al rientro, e forse proprio per l’autocritica che potrebbe aver fatto su questo episodio, per la prima volta, in occasione dell’annuncio di un nuovo decreto, quello del Rilancio, non è stato più one man only al comando, ma questa volta circondato da cinque ministri essi stessi parlanti.
Esteriorità di nessun conto? No, è una delle varie spiegazioni di quei due secondi indicati dal presidente Sarkissian, su che cosa può fare la rete e come lo storico concetto e la storica interpretazione della democrazia stiano cambiando.
Nel merito, in particolare dell’ultimo decreto, non si può ignorare un implacabile editoriale del professor Sabino Cassese sul Corriere della Sera di giovedì 14. Il giudice emerito della Corte costituzionale ha scritto, fra l’altro: «... quando la legge (che riunisce i provvedimenti per il rilancio) sarà approvata, sarà risolto il problema? I tempi ordinari dello Stato non corrispondono agli obiettivi e alle esigenze della crisi, specialmente se alcune norme sembrano scritte da un teologo medioevale (vi si riprendono piani che contengono programmi operativi, che dispongono misure, ma nell’ambito di altri programmi operativi previsti da altre leggi) e se occorre attendere i decreti attuativi, notifiche alla Commissione europea, decisione degli organi collegiali, stati di avanzamento lavori, controlli amministrativi che rallentano i funzionari onesti e non frenano quelli disonesti… Il governo non si è preoccupato degli impedimenti prodotti da troppe pesanti sanzioni e da controlli preventivi, che bloccano l’azione esecutiva e non si è chiesto se si poteva operare delegiferando, invece di produrre tante norme che ingessano le burocrazie. Si sommano qui la storica inadeguatezza degli uffici di staff dei ministri e la scarsa attenzione per le realizzazione delle promesse di politici impegnati nella rappresentanza e nella comunicazione...».
Ecco, in queste poche righe c’è tutto il dramma del Paese Italia, la sua inefficienza, la sua ubriacatura di norme, e in chiusura il fenomeno accentuato dalla grande emergenza della famelicità di notorietà, presenzialismo, volto alla ricerca del consenso minuto per minuto, in mezzo a più del 50% di fake news sul totale delle notizie che circolano.
Chi legittimamente si è vantato è il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Riccardo Fraccaro, un 5Stelle moderato, per il Superbonus pari al 110% della spesa che sarà sostenuta per il risparmio energetico, con tanto di cappotto, l’adozione di energia green, riscaldamento non inquinante e la strutturazione dei fabbricati con sistemi antisismici. Come è stato possibile leggere in «O&T» della scorsa settimana, il superbonus è un forte potenziamento del bonus che esisteva già con la legge di Bilancio, ma Fraccaro è andato oltre, anche sul sistema di poter godere non necessariamente in maniera diretta del bonus determinato dal credito di imposta incassabile in cinque anni. Infatti, chi farà eseguire i lavori potrà non sborsare neppure un euro, concedendo il credito d’imposta all’impresa che esegue i lavori, mentre l’impresa potrà cederlo alle banche o ad altre entità (società partecipate dallo Stato), alle quali potrà ugualmente cederlo il committente dei lavori. Quindi, finalmente, un meccanismo molto semplice, che potrà rimettere in moto il settore edile, che da solo mette in moto almeno altri sei settori, dalla siderurgia al settore chimico, al cemento, ai trasporti, ai laterizi, agli arredi...
Come ricorderanno i lettori, ItaliaOggi, oltre a farsi promotore e sostenitore di un intervento per rilanciare l’edilizia, ha anche proposto un provvedimento che da solo può salvare il 15% delle pmi italiane. Proposto dall’ex amministratore delegato e salvatore del S. Raffaele, Nicola Bedin, l’intervento può essere a costo zero per lo Stato. Si tratta di consentire alle aziende di non effettuare per l’esercizio 2020 gli ammortamenti, che pesano sul saldo finale e quindi possono determinare la perdita di capitale, esponendo le azioni a procedimenti fallimentari se non è possibile ricapitalizzarla. Infatti, in Italia, a differenza di altri Paesi, una società non può operare con capitale negativo.
L’idea lanciata da Bedin e sostenuta da ItaliaOggi è piaciuta molto al governo, che ha intravisto la possibilità di dare un contributo significativo alla salvezza delle aziende di fatto a costo zero per le casse dello Stato. Il viceministro all’Economia Antonio Misiani è stato intervistato sul tema da SkyTg24 assieme a Roberto Sommella, manifestando gratitudine per l’idea. Che però, al momento, non ha marciato. E per capirne il perché è necessario entrare nel tecnico, cioè nella struttura delle regole contabili italiane e internazionali che sostanzialmente sono emanate da due organismi, l’Oic (Organismo italiano contabilità) e dall’International accounting standard board (Iasb) che emana i principi contabili internazionali Ias/Ifis.
Molti lettori sanno bene di cosa si tratta ma molti altri no e pertanto vado avanti nella spiegazione, perché si possono scoprire alcune bizzarrie sia da una parte che dall’altra. Per esempio, recentemente l’Iasb ha stabilito che le società che hanno immobili in affitto o leasing su macchinari o altro debbano mettere nel bilancio di ciascun anno non il costo annuale, ma il totale costo da sostenere prima della fine del contratto. Questa voce ha cambiato i bilanci, soprattutto una voce fondamentale come il cosiddetto ebitda, che indica la capacità dell’azienda di produrre ricchezza prima degli oneri finanziari, delle imposte e degli ammortamenti. Mentre prima il costo annuale degli affitti e dei leasing veniva inserito nelle voci prima dell’ebitda, oggi viene inserito sotto l’ebitda, tra gli ammortamenti. In questo modo tutti gli ebitda sono migliorati, ma viene peggiorato l’indebitamento finanziario. Bene: questo cambiamento non è stato accettato dall’organismo contabile tedesco che continua a seguire le regole precedenti. Regole alle quali devono adeguarsi, per applicarle, i revisori dei bilanci o auditor.
L’Oic ha accettato il cambiamento, anche se viene applicato soprattutto ai bilanci consolidati, prevalentemente ai bilanci delle società quotate in borsa.
Già questo dimostra che non c’è né l’Onu dei bilanci ma neppure l’Unione europea dei bilanci. Scrivo questo per dire che in materia di contabilità non ci sono regole assolute e che quindi la proposta di stoppare per un anno gli ammortamenti in un anno come questo, in una emergenza come questa, non dovrebbe né scandalizzare alcuno né trovare ostacoli. Invece li sta trovando soprattutto nella Oic, che già ha messo dei picchetti rispetto al provvedimento, che è già legge, di considerare comunque la continuità aziendale delle società italiane per l’anno in corso. Ma un conto è considerare la continuità (che è un concetto più complesso, in quanto implica previsioni per il futuro da parte degli amministratori) con ancora un capitale sociale positivo, un conto, assai diverso e più rischioso, è affermare la continuità aziendale con un capitale negativo. Infatti, in questo caso entra in gioco la legge fallimentare ed entrano in gioco i tribunali, che hanno da far rispettare leggi precise su richiesta di fallimento da parte di creditori o anche su semplice esposto sul perché quella società non ha più capitale. Proprio per questo, per mettere in sicurezza le aziende, che stanno subendo i danni del virus ma che hanno le potenzialità per uscirne e comunque un valore per il sistema produttivo italiano, è stata pensata la soluzione di cristallizzare per un anno gli ammortamenti.
Questa proposta, molto semplice, non è gradita completamente all’Oic, che ritiene di avere già nelle sue regole soluzioni alternative. In particolare, la possibilità di rivalutare cespiti che sono già stati ammortizzati oppure di poter spalmare le perdite 2020 in più anni, come si fece anni fa con i bilanci delle società di calcio dopo la poderosa svalutazione dei calciatori in bilancio. Tutto andrebbe bene, fino a un certo punto, se una rivalutazione dei cespiti determinasse (anzi determina) un innalzamento degli ammortamenti per gli anni successivi. E in ogni caso, mentre tutte le aziende hanno più o meno ammortamenti da fare, non tutte le aziende hanno cespiti da rivalutare.
Si sa che favorevole alla soluzione di congelare gli ammortamenti per un anno è Assirevi, l’associazione delle società di revisione, la quale ha manifestato anche qualche critica ai picchetti messi alla continuità della gestione aziendale comunque fissata già per legge.
C’è tuttavia chi sostiene, dal lato dell’Oic, che in effetti sono i revisori che fanno parte dell’Oic. È vero. Ma le regole sono elaborate da una struttura interna all’Organismo.
Sia come sia, c’è da augurarsi che il problema sarà risolto, soprattutto per le aziende che redigono i bilanci con i criteri contabili italiani, poiché per quelle società che seguono gli Ias ci sono soluzioni significative per neutralizzare, almeno in buona parte, gli effetti degli ammortamenti che spesso portano le aziende a un saldo ultimo in perdita.
Soprattutto, c’è da augurarsi che, pur nel rispetto del rigore di chi guida gli organismi che fissano i criteri di contabilità, prevalga il concetto che in questa contingenza tutto deve essere possibile. Si ricordino di quanto Mario Draghi ha affermato nella sua lettera inviata al Financial Times. Nessuno può dubitare che Draghi abbia rigore e che abbia sempre predicato, anche quando era governatore della Banca d’Italia, che l’Italia doveva e deve ridurre il debito. Ma in questa contingenza, il suo messaggio è stato: non si abbia paura del debito, perché prima di tutto occorre salvare le aziende, che si sono formate in anni e che hanno quote di mercato da difendere in un mercato dove la concorrenza era già fortissima e diventerà spietata, visto che la crisi già durissima sarà anche lunga. Quindi, per una volta che la politica capisce al volo una esigenza fondamentale per centinaia di migliaia di aziende, che non siano proprio i tecnici a complicare le scelte. Tanto, come sanno e come dicono anche i tecnici, i bilanci sono numeri e le società resistono quando hanno il capitale e la cassa. Almeno aiutiamo a mantenere positivo il capitale, perché non sono state certo le aziende a trasformarsi in pipistrelli e a fare lo spillover del virus.