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 2020  maggio 16 Sabato calendario

Intervista a Maurizio Costanzo

C’è una televisione che non riesce a costruire il suo futuro e allora si affida al suo passato. C’è una televisione passista perché imbocca la strada più rapida e sicura. C’è una televisione epica che sperimenta, sbaglia, cade e si rialza, capace di inventare il futuro restando ancorata al suo presente. C’è una televisione che piace a Maurizio Costanzo perché si bilancia tra questo e quello, un crinale pericoloso ma esaltante. Perfetto per chi può, a ragione, fregiarsi del titolo di sperimentatore e di custode di un’anima antica e gloriosa. È la Rai sognata e amata da Maurizio Costanzo che ha inventato il talk moderno, persino la rissa a telecamere accese e se ne duole, è la Rai di chi della nostalgia in immagini vuole si tragga insegnamento e non sterile rimpianto. Il giornalista antesignano di un Porta a Porta allargato e casereccio, l’unico capace di lavorare su più reti concorrenti e in contemporanea senza che questo scandalizzi alcuno, oggi alle 14 torna su Rai2 con un programma in otto puntate, «Rai storie di un’italiana», che trae il suo ragionamento dalla produzione del passato perché la grande tv non resti solo retaggio d’antan.
Costanzo, perciò lei non è d’accordo con l’assunto iniziale? Televisione che non sa inventare recuperi il passato.
«Invece lo sono e pienamente. Proprio per questo ritengo che dal passato si possa trarre grande insegnamento. È giusto procedere avendo contezza di ieri ma è necessario rivolgersi al futuro, come atteggiamento sociale».
La Rai che lei omaggia nel suo nuovo programma, oggi riesce a trovare questo equilibrio?
«Basterebbe che la Rai facesse la Rai. Tornare ad avere consapevolezza di se stessa. E quando se ne ricorda è una grande Rai. In questo momento storico difficile ho pensato che far conoscere agli italiani, per forza di cose più casalinghi, il piacere della memoria, fosse cosa buona. È l’abbiamo fatto con l’autore Umberto Broccoli puntando sul materiale culturale delle Teche Rai. Un viaggio a ritroso con grandi giornalisti, conduttori e attori che purtroppo non hanno lasciato eredi. E mi è venuto da dire: "Ma che bella televisione si faceva". In parte mi è parso di raccogliere l’appello di Pupi Avati che sperava in una televisione più colta di quella che si consuma oggi».
Forse una tv con troppe repliche, si diceva...
«Finché si tocca il 16% di share come il Montalbano di lunedì scorso con 6 milioni di telespettatori o i 4 milioni in replica di "Io sono Mia" sulla vita di Mia Martini, allora perché interrompere? Tanto mettiamocelo bene in testa, i giovani la televisione non la guardano comunque».
Perché secondo lei si è persa quell’idea di tv quasi picaresca e non esiste più il ricambio dei vari Gassman, Vianello, Tognazzi....
«Perché non esistono posti dove andare a scovarli. Prima gli autori come Falqui, Trapani, Amurri e mi ci metto pure io, andavamo a vedere l’avanspettacolo, fonte inesauribile di approvvigionamento di giovani talenti da portare in televisione. Poi siamo passati ai cabaret dove crescevano gli attori brillanti di domani. Oggi non sai più dove andare».
Lei però così fa torto ai tanti talent che di questo si occupano. Fa torto anche a sua moglie che ne ha inventato uno...
«Nessun torto perché lì si mettono in mostra cantanti e ballerini non attori comici, conduttori e showmen di cui si avrebbe tanto bisogno. Inoltre l’attore vuole fare l’attore e non gli passa per la mente di tentare forme di intrattenimento diverse. Esiste una sorta di veto psicologico, l’interprete bravo si percepisce tale solo se tragico e impegnato. Invece è un grande errore. Se sai far ridere, qualità rarissima, comprensiva di tempi comici che devi avere dentro, sei il padrone della scena, qualsiasi essa sia».
Un programma su giovani attori sconosciuti potrebbe proporlo lei. Perché no?
«Magari ci ragiono, in fondo con il Maurizio Costanzo Show che sta per tornare in sicurezza e distanze, di talenti ne ho portati alla luce parecchi tra i quali Valerio Mastandrea, Giobbe Covatta, Ricky Memphis».
Che lei andava a vedere a teatro?
«Ecco, parliamo dei teatri in enorme sofferenza. Ma lo sa che stanno vendendo lo storico Teatro Sistina di Roma e che anche l’Eliseo altrettanto storico palcoscenico romano rischia di fare la stessa fine? Un inferno per attori, orchestrali, tecnici, truccatori, elettricisti. Categorie che rischiano l’estinzione nell’indifferenza generale. Anche le modalità di eventuali riaperture al pubblico non rispondono alle esigenze del Teatro».
Lei che televisione vede con più piacere?
«Nel mio studio ho 12 tv accese e guardo di tutto. Con più interesse i talk politici senza risse costruite in studio, le news di Rai e Sky. Mi è piaciuto molto rivedere la fiction su Mia Martini soprattutto perché ci ho ritrovato una splendida Serena Rossi, una giovane interprete che vorrei lavorasse sempre. Guardo di tutto perché penso sia giusto. A breve le tv generaliste dovranno scendere a patti con le altre televisioni su tutto, anche sulle modalità di messa in onda. Ecco il futuro».