La Stampa, 16 maggio 2020
L’aritmetica impazzita della fase 2
Riporto a caso uno dei tanti messaggi che mi sono arrivati sul cellulare: «Norme sulla distanza sociale: in giro, un metro; in chiesa, un metro e mezzo; al ristorante due metri; al parco, tre: al mare, quattro. Ma ‘sto virus è un geometra?». In realtà, la cosa è molto peggio, se si vanno a leggere quelli che fin dai titoli bizantini si presentano come veri e propri manuali.
Ad esempio, il Documento tecnico su ipotesi di rimodulazione delle misure contenitive del contagio da Sars-CoV-2 nel settore della ristorazione, o il Documento tecnico sull’analisi di rischio e le misure di contenimento del contagio da Sars-CoV-2 nelle attività ricreative di balneazione e in spiaggia.
Naturalmente, è facile fare ironia su un problema che è effettivamente complesso, e che mette a confronto fra loro due desideri a prima vista inconciliabili: da un lato, la necessità di contenere il contagio diminuendo al massimo l’interazione e aumentando al massimo la distanza di sicurezza tra le persone, e dall’altro lato, la volontà di riaprire l’economia facendo esattamente il contrario. Il risultato è per forza di cose un compromesso, ottenuto anche in base alla forza di contrattazione delle forze in gioco.
Il messaggio citato mette però il dito sulla piaga: se la distanza di sicurezza cambia a seconda dei luoghi e delle attività, mentre il virus è sempre lo stesso, significa che il mondo è diventato un luogo a geometria variabile, dove la metrica che serve a calcolare la distanza varia da punto a punto. Un mondo che non è più euclideo o piatto, come ci appare nelle immediate vicinanze, e non è nemmeno sferico a curvatura costante, com’è approssimativamente la sfera terrestre, ma che è invece riemanniano, come dicono i matematici: cioè, del tipo immaginato da Bernhard Riemann, un grande geometra vissuto a metà dell’Ottocento, di nazionalità tedesca, ma morto e sepolto a Verbania, dove era venuto per svernare a causa della sua cagionevole salute.
L’idea di Riemann, di considerare geometrie in cui il modo di calcolare le distanze cambia da punto a punto, agli inizi fece scalpore, ma poi si rivelò essere quello che serviva per descrivere l’universo. Albert Einstein usò la geometria riemanniana per la formulazione della sua relatività generale, che non è soltanto un’inutile elucubrazione fisico-matematica: ad esempio, senza di essa non funzionerebbero correttamente i Gps che usiamo quotidianamente nei nostri navigatori o nei nostri cellulari. In particolare, non funzionerebbero neppure le app di tracciamento, che in alcuni Paesi come la Corea del Sud e Taiwan hanno già permesso di mappare la rete degli incontri a distanza ravvicinata fra le persone, limitando al massimo i danni del virus, mentre da noi la app Immuni attende ancora di entrare in azione, e sarà comunque usata solo su base volontaria.
Anche questo è un compromesso fra la necessità sociale di monitorare i contatti che i contagiati hanno con le altre persone, e la volontà individuale di decidere in libertà come agire. Un compromesso analogo a quello che lo Stato è costretto a fare con i vaccini, di fronte a coloro che pretendono di avere la libertà di non farli ai propri figli, e che si ripresenterà puntualmente nel momento in cui i vaccini contro il virus saranno finalmente trovati e testati.
Questi comportamenti contraddittori fanno pensare che il parallelo con l’avanzata e moderna geometria riemanniana non sia forse quello corretto. Meglio forse rifarsi a un’altra analogia, con gli antiquati sistemi di misura delle distanze che erano in voga alla fine del Settecento. Non solo ogni nazione, ma addirittura ogni città aveva allora il proprio "metro", e calcolava le distanze nei modi più svariati, basandosi su pollici, piedi, braccia e cubiti: unità che ovviamente cambiavano individualmente da persona a persona, e mediamente da etnia a etnia.
Il risultato era un gran pasticcio, analogo a quello delle misure che le varie regioni pretendono di adottare per il virus. Nel caso del metro, c’è voluta la Rivoluzione francese per mettere ordine nelle cose e stabilire un "sistema metrico decimale" comune per tutti. Vedremo se da noi la democrazia basterà a mettere ordine nel caos, o se prevarrà invece l’italica anarchia.