Avvenire, 16 maggio 2020
I ricchi fuggono da New York
L’Upper East Side, SoHo, il West Village, Brooklyn Heights. La conferma che siano questi i codici postali più chic di New York – quartieri in cui il reddito medio supera i 200mila dollari annui – arriva quest’anno dalla pandemia che sta sconvolgendo il mondo e facendo della Grande mela il buco nero d’America. Con il governatore Andrew Cuomo che annuncia che la city resta «chiusa» almeno fino al 13 giugno, basterebbe seguire la mappa dei quartieri che si sono svuotati durante la serrata per avere conferma di quanto il “lockdown” non sia uguale per tutti. Sono quasi mezzo milione i newyorchesi scappati all’esplosione dell’epidemia, un da- to che emerge da un’analisi dei dati di localizzazione della telefonia mobile secondo la quale la fuga dal coronavirus è stata registrata quasi esclusivamente nei quartieri più agiati, dove la popolazione è diminuita del 40 per cento e oltre.
Nel resto della città, certificano i dati, la popolazione è rimasta stabile, a parte le zone più prettamente universitarie, con gli studenti che le hanno lasciate una volta chiusi gli atenei. I più ricchi si sono rifugiati nelle seconde case e nelle località di villeggiatura pur di sfuggire alla pandemia: la contea di Palm Beach, in Florida, è stata tra le principali destinazioni per i paperoni newyorchesi «sfollati».
Lo Stato di New York resta l’epicentro dell’epidemia negli Usa, con oltre 348mila casi e 27mila morti, oltre 20mila dei quali solo a New York City. Ma se in cinque contee dello Stato si registrano le condizioni per la «fase uno» della riapertura, avviata da ieri, il resto del territorio, city compresa, rimarrà in lockdown per quasi un altro mese intero, non avendo ancora raggiunto i criteri epidemiologici per un ritorno alla normalità. Tra queste condizioni, l’aver riscontrato una diminuzione costante dei ricoveri e dei morti per 14 giorni. Tra le attività non essenziali che ieri hanno riaperto in cinque contee ci sono l’edilizia, l’industria manifatturiera e il commercio al dettaglio. Un piccolo segnale di speranza in un territorio devastato dalla pandemia. Il numero dei contagi, comunque, è in calo: nelle ultime due settimane si registra un -13% nello Stato, un trend positivo che fa il paio con quello di altri 23 stati Usa. Nove, invece, gli stati in cui i casi continuano a salire. Le autorità sanitarie sottolineano che gli effetti dell’allentamento delle misure restrittive andranno valutati nelle prossime settimane, ma che distanziamento fisico e mascherine restano importanti. Al momento, in media, con un milione e 417 mila contagiati e 85.906 morti, il 25 per cento dei posti letto negli ospedali è occupato da pazienti contagiati dal Covid-19.
Ieri, intanto, Donald Trump ha sparso ottimismo riguardo a un rimedio in tempi brevi. «Stiamo compiendo passi da gigante per trovare il vaccino e la cura contro il virus, e lo faremo presto, entro la fine dell’anno o forse prima – ha detto il presidente Usa –. Abbiamo cominciato a lavorare sul vaccino l’11 gennaio ancora quando non sapevamo nulla, c’è impegno per produrne uno». «Ci sono 450 progetti per trovare le cure. Abbiamo stanziato 10 miliardi di dollari per la ricerca scientifica», ha aggiunto Trump, secondo cui la sua Amministrazione sta concentrando la sua attenzione su 14 potenziali vaccini. «Vaccino o non vaccino siamo tornati», si è detto certo il presidente Usa, annunciando che Washington aiuterà nella distribuzione se altri Paesi ne svilupperanno uno per primi. Ma dietro le quinte la corsa internazionale al vaccino, e la sua distribuzione, rischia di essere una sfida molto meno amichevole di ciò che appare.