Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2020  maggio 16 Sabato calendario

I 75 anni di Massimo Moratti

L’Ottavio, il Gigi, il tecnico di Croydon, l’Alvaro, l’Hombre vertical, Mircea, lo Strama, il Mancio, lo Special One. Così, in ordine sparso e neppure la metà, tutti a libro paga e qualcuno anche buono. Cinque scudetti, quattro Coppe Italia, quattro Supercoppe italiane, una Uefa, una Champions e un Mondiale per club, vent’anni a modo suo, settantacinque precisi oggi con l’Fc Internazionale Milano sempre dentro, totalmente, occupata in ogni angolo più invisibile e remoto. Il Massimo.
Neppure sei mesi dopo aver passato la mano, 23 ottobre 2014, s’era già capito che il nuovo capo non c’entrava niente: Presidente d’accordo che non ne poteva più e ha voluto dare una svolta, ma bisognava andare fino in Indonesia? Qualcosa in zona no? Cosa fa, rientra? Mannò, risponde lasciando intendere che c’aveva già pensato, e poi se tornassi non prenderei certo questi. Messi? E ride ancora. C’ha lasciato giù miliardi, tutti suoi, e quelli che ha amato di più sono scappati, anche se ha sempre tenuto a precisare che li ha lasciati scappare, è diverso. In pochi hanno realizzato che il colpo Luis Nazario da Lima Ronaldo è stato qualcosa di soprannaturale, impensabile, superiore a qualunque altro asso sbarcato nella nostra serie A in tempi moderni, e non è arrivato qui a fine carriera, neppure a metà, pagato cash senza contropartite e carte sotto il tavolo. Lui il più sorpreso, qualche giorno dopo l’acquisto talmente sottosopra da arrossire mentre ne parla: C’è un punto interrogativo in questa operazione, e sono io, mi sento ancora inesperto, ma c’ho pensato bene, almeno spero, prima non avrei potuto farlo. 
Confuso e felice. Il vero Ronie a intervalli si è visto qui, e il giorno dopo la sua fuga a Madrid, il dottore aveva già trovato la soluzione: Senza di lui saremo più forti.
Orari consueti e straconosciuti, in Saras al mattino sul tardi, rientro a piedi a pranzo, di nuovo in Galleria De Cristoforis nel pomeriggio, a casa per cena. Chiunque può prenderlo, sbuca in fondo alla via e ogni volta sembra sorpreso da quella moltitudine di cronisti che stazionano davanti al suo ufficio, si ferma sempre, anche dopo legnate storiche, avrebbe potuto entrare dal retro, mai fatto. Eppure questa sua abitudine passa come esibizione conclamata allo stato puro, tronista del calcio. Con lui domande senza filtri, anche abbastanza furbe che ad altri neppure si immagina di fare, spinge la montatura e manda giù. Le notti di Adriano, le sciabolate di Vieri, l’irriconoscente Kanu, l’ironia su Recoba, il 2 maggio, lo scudetto cartonato. Ecco questo lo aizza, su questo argomento ha sempre risposto a tono: Ai tifosi dico siate fieri della vostra squadra, venite allo stadio con la sua maglia e siate fieri anche di questo scudetto, siamo rimasti fuori dal caos, è meritato e giusto. 
È stato il periodo più tormentato e vittorioso, mai lui a tirarlo in ballo, il più delle volte si difende, in altre accusa, chi lo ha frequentato può testimoniarlo, avvertiva fastidio parlarne, diverso da Juliano su Ronaldo e Ceccarini che non vede perché sta guardando Birindelli. Quel giorno ha iniziato a uscire dal libro delle fiabe, abituato a sentirsi protetto in una famiglia di eccellenza in città. Eppure ha sempre diffidato, con ragione, da chi lo zerbina, tesse lodi e lo osanna, certo che dietro ci sia una richiesta, la furbata che gli fa girare la faccia. Davanti al suo ufficio la calca dei cronisti, a qualche metro quella dei questuanti, mano in tasca e biglietti da dieci girati con discrezione. Ironia anche su questo, compresa la Nord: Perché tutti quelli che se ne vanno parlano male della squadra e bene di lei? Decida, o fa il presidente o fa il benefattore. È girata addirittura la voce che vincere per lui non fosse una priorità, sbagliato, vincere sempre ma a modo suo, elegante, educato, mai sentito parlare con astio, magari una frecciata con garbo, mezza, sorridendo, timido per natura. Con dentro qualche vaffan da tifoso in tribuna rossa, alla milanese, che è quasi un complimento. La notte del triplete avrebbe voluto essere un tifoso qualunque: E girare per Milano con i finestrini giù, dice, la testa fuori a gridare con la bandiera che sventola. Invece è a Madrid mentre anche Josè se ne scappa: Ma io lo sapevo, non è stata una sorpresa.
Con Roberto Mancini storia diversa: Felice per lo scudetto, agitato perché l’Inter era campione d’Italia ma non aveva un allenatore. Non potevo lasciare la squadra in mano a chi mi aveva dato le dimissioni anche se poi si era pentito, e con Mourinho non c’era ancora niente di scritto.
Via dall’Inter e tutti al Milan, Balotelli, Ronaldo, Ibrahimovic, botte al cuore, quando il Fenomeno torna a Milano e c’è Galliani ad attenderlo all’aeroporto, il Massimo è agitato: E quando si sono incontrati, si sono baciati?
È stato il presidente alti e bassi, ha sbagliato, ha pagato, ha vinto, l’Inter un ramo della famiglia, tutti figli suoi, per tenerli stretti li pagava forte, la sua clausola rescissoria, se li volevi dovevi promettergli un ingaggio più alto. Ha funzionato fino al giorno del grande trionfo al Bernabeu, poi tutti in fila a chiedere prolungamento e ritocchino e lui a sganciare. Un giorno Frank De Boer gli fa: Cosa c’è che non va? È una squadra di ultra trentenni presidente, è questo che non va. Ingrato, via l’olandese, altri dieci anni nel gregge. Quando ha aperto il portafogli e ha ceduto le ultime quote nessuno riusciva a crederci, fuori da tutto. Finito il gioco è finita anche la sua presidenza, umana, bella, pulita, è ancora troppo presto, poi il tempo la renderà leggenda.