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 2020  maggio 15 Venerdì calendario

Intervista a Arrigo Cipriani

«Vorrà dire che 91 anni di storia se ne andranno via così, per i calcoli di 400 esperti o, ancor peggio, per i numeri imposti da un algoritmo». Arrigo Cipriani, 88 anni, titolare dell’Harry’s Bar di Venezia, per la prima volta dopo una lunga carriera alla guida del locale caro a Truman Capote, Charlie Chaplin e Ernest Hemigway, lo stesso citato da Fabrizio De Andrè nella canzone Rimini, ecco per la prima volta sta pensando di mollare.
«Io voglio aprire, a tutti i costi, ma non con le regole imposte dall’Inail.
Solo chi non ha idea di cosa sia questo mestiere può imporci ciò che sto leggendo in questi giorni».
Cipriani, partiamo da quella che considera la regola peggiore
«Senza ombra di dubbio le distanze.
Secondo questi esperti io dovrei imporre un metro di distanza ai commensali e rispettare quattro metri tra un tavolo e l’altro. Al’Harry’s Bar passerei da 150 coperti a 10».
Non è un po’ esagerata come proporzione?
«No. Il piano terra sono circa 40 metri quadrati e quello superiore altrettanti, forse anche meno. Le nostre sedie sono un monumento nazionale. Dovrei toglierle per rispettare le linee guida? Non ci penso nemmeno».
Non crede che di fronte al rischio del contagio valga la pena rispettare le regole?
«Qui dentro ci sono ospitalità e accoglienza e non sono parole vaghe, perché contengono il seme della libertà. Io non voglio imporre nulla al cliente. Qui dentro ci si deve sentire liberi».
Ma come si può ignorare l’allarme sanitario?
«Ho aperto ristoranti in ogni parte del mondo, da New York a Miami, da Londra a Montecarlo, e ancora ad Abu Dhabi, Dubai e Hong Kong. A Hong Kong ci hanno imposto un metro di distanza tra un tavolo e l’altro. Questo è ragionare, questo è aver voglia di ripartire».
Altra questione: il contagio da Coronavirus come malattia professionale, con responsabilità penale del titolare. Cosa ne pensa?
«Una follia. Qui a Venezia ho 75 dipendenti. Vengono al lavoro in tram, in vaporetto, in treno. Come si può sapere se il contagio è avvenuto al lavoro o in viaggio. È proprio la filosofia che non va bene: infierire sull’imprenditore brutto e cattivo».
Le linee guida dell’Inail impongono anche mascherine a tutti i camerieri. Questo almeno lo concepisce?
«Assolutamente no. I clienti devono trovarsi davanti una persona, non un robot. Piuttosto di mettere la mascherina a tutti i camerieri li sottoporrei al tampone ogni mattina».
E i dispenser di gel disinfettante ai tavoli?
«Non scherziamo. Le persone che concepiscono queste regole dove vanno a mangiare? Alle mense aziendali forse».
Allora faccia delle proposte.
Quali sono le linee guida di Arrigo Cipriani?
«Semplicissimo: un metro di distanza tra un tavolo e l’altro. E se vengono a mangiare in quattro a un tavolo, chi se ne frega delle distanze. In bus stanno stretti come le sardine e al ristorante stiamo qua a spaccare il capello in quattro? È davvero una presa in giro».
Dunque lunedì cosa succede in Calle Vallaresso 1323?
"Con queste regole non apro. Ma non perché voglia fare polemica. Su 70-80 metri quadrati dovrei tenere dieci coperti. Cosa ci faccio con i miei 75 dipendenti? Giochiamo a battaglia navale. Questo è un ristorante che fa 5 mila coperti al mese».
Da quanto tempo è chiuso l’Harry’s?
«Dal 6 marzo scorso. Non abbiamo nemmeno con l’alta marea del 1966, la peggiore della storia».
Ha stimato a quanto ammontano le perdite per questi mesi di chiusura?
«Credo quasi due milioni di euro. A maggio dell’anno scorso, con l’inaugurazione della Biennale, abbiamo fatto un milione di incassi».
Il fatturato annuo di un’azienda.
«Questa è un’osteria storica, fondata nel 1931 da mio padre Giuseppe. Il nome del bar è un omaggio a Harry Pickering, giovane studente statunitense che, in segno di riconoscenza per un prestito ricevuto, diede a mio papà la somma per aprire il locale. Nel 2001 è stato dichiarato patrimonio nazionale dal Ministero dei Beni Culturali. Questa dovrebbe essere l’unica linea guida».