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 2020  maggio 15 Venerdì calendario

Il virus ha ucciso la corrida?

Non risuonano «olé» né “pasodobles” nella Plaza de toros di Las Ventas. In tempi normali, l’arena di Madrid sarebbe in questa settimana l’epicentro della Fiesta per il patrono San Isidro, con le corride quotidiane ritrasmesse in tv, gli animali portati in trionfo per la Puerta Grande e le orecchie dei tori Miura esibite come trofei alla folla stipata sugli spalti. Morante de la Puebla, José Maria Manzanares o Cayetano, i matador annunciati in cartellone, hanno appeso al chiodo i “trajes de luces”.
A causa della pandemia che ha paralizzato mezzo mondo, l’arena è vuota e avvolta in un silenzio spettrale e così resterà per questa stagione, come già a Pamplona per San Fermín o a Siviglia per la Fiera de abril. Il lockdown rischia di dare la stoccata mortale ai controversi combattimenti – per legge emblemi della cultura spagnola – e di riuscire laddove non erano arrivati in anni di proteste gli anti-taurini, che ora esultano. Perché, anche se è cominciata la “desescalada” dalle rigide misure di confinamento imposte dal governo Sánchez con lo stato di allarme nazionale, non è chiaro che le corride potranno svolgersi prima della fine della stagione, a ottobre. Con i contagi e vittime tornati a crescere ieri rispettivamente di 506 e 217 persone, per un totale di 229.540 positivi e 27.321 morti, si prevede che le arene riaprano solo nella fase 3 dell’attenuamento.
E, per garantire la distanza prescritta di 9 metri quadrati fra gli spettatori, non ci sarebbero margini di business, già in declino per i tagli delle sovvenzioni imposti dalle regioni, come segnala l’Union de Criadores de toros, l’unione allevatori. In un anfiteatro da 10.500 posti solo potranno esserne occupati 400: per Ramón Valencia, gestore dell’impresa Pagés e impresario della plaza de toros de La Maestranza di Siviglia un limite del genere è «un insulto all’intelligenza». Almeno 700 milioni di euro le perdite stimate per gli eventi cancellati e l’impatto sugli allevamenti. Il settore ha reclamato aiuti, ma il governo non si è dato per inteso, escludendolo dalle misure di sostegno e dagli sgravi fiscali riservati ad altri comparti della cultura, nel cui novero è inclusa “l’arte della tauromachia”.
«Nel peggiore degli scenari si andrà al 2021 e sarà drammatico per i posti di lavoro perduti e i costi di mantenimento dei tori, che sono sempre vivi. Il settore non rialzerà la testa», prevede Victorino Martín, dell’omonimo allevamento. Un sollievo invece per gli animalisti, che vedono il fosco scenario come un’opportunità. «È stata una delle poche buone notizie portate dalla pandemia non solo per i tori, che non saranno torturati», rileva Aïda Gascón, dell’associazione Anima Naturalis, a favore di estendere il divieto delle corride già decretato da anni in Catalogna. «Anche se finiranno ugualmente sacrificati, almeno nessuno trarrà utili dallo spettacolo di crudeltà». Allevare in condizioni speciali e alimentare ogni giorno un toro da “lidia” costa 5mila euro, un investimento sostenibile solo se poi l’animale parteciperà ai “festejos”, le feste di piazza con i bovini protagonisti. Alcuni dei più noti allevatori hanno già cominciato a venderli al “matadero”, dove un esemplare è pagato 500 euro, come carne da macello.