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 2020  maggio 15 Venerdì calendario

Il virus in carcere e i conti che non tornano

Nel rivendicare quanto il ministero della Giustizia «si sia mosso per tutelare la salute nelle carceri» (tramite quel Dap di cui non si capisce allora perché abbia sostituito il vertice), il Guardasigilli Alfonso Bonafede aggiunge: «Certo mi dispiace tantissimo perché qualcuno è deceduto, un detenuto e due agenti». Smarrimento. Perché per Covid-19 nel mondo-carcere i morti sono otto. Non uno ma quattro detenuti, tre non contati forse perché spirati in ospedale; e, oltre ai due ricordati agenti, due medici penitenziari, forse non indicati perché appartenenti all’amministrazione. Anche con le proprie leggi il ministro zigzaga fra i numeri. Esalta il decreto dell’8 marzo, ma (per respingere le strumentali accuse d’aver fatto scarcerare i mafiosi, anziché tra mille limitazioni solo detenuti comuni con scampoli di pene) assicura che «ha avuto una incidenza ridotta, 903 detenzioni domiciliari». E poi però, lasciato quindi ai giudici il cerino di far calare i detenuti da 61.235 a 52.712, si intesta l’indiscutibile contenimento del virus, ottenuto in realtà solo perché questa mitigazione di illegalità nelle carceri (da 11.000 ad «appena» 5.000 stipati oltre i posti effettivi) ha liberato minireparti dove isolare via via i positivi (211 detenuti oltre a 320 agenti e sanitari). Appurato che 253 dei 376/498 inventati «boss» scarcerati erano in attesa di giudizio, e solo 4 i malati passati dal 41 bis a casa in carenza di quelle terapie che solo ora il ministero corre ad assicurare, non si aggiunge che degli altri uno solo fosse in Alta Sicurezza 1, e tutti i restanti in AS3, non capimafia ma «inseriti – descrive il Garante – nel brodo di coltura della criminalità organizzata». E inevasa resta l’attesa di conoscere, sui 13 morti nelle rivolte di cui il ministro in marzo indicò «cause per lo più riconducibili ad abuso di sostanze sottratte alle infermerie», in cosa sia consistito il «per lo meno».