La Stampa, 14 maggio 2020
I rumori perduti di New York in un album
Siamo arrivati al punto di provare nostalgia per i rumori spariti, che odiavamo fino ad un paio di mesi fa. Un po’ perché erano la colonna sonora della normalità perduta, ma un po’ anche perché ci terrorizza il silenzio che ha preso il loro posto.
In Italia diciamo che «un bel tacer non fu mai scritto», saggio proverbio attribuito forse al poeta Iacopo Badoer, o addirittura a Dante, ma per rispondere all’ansia da coronavirus la Public Library di New York ha scelto invece di registrare il chiasso. Lo ha fatto attraverso un album intitolato “Missing Sounds of New York”, che chiunque può ascoltare gratis sul suo sito.
L’idea è nata quando i capi della grande biblioteca pubblica della città che non dorme mai si sono riuniti con l’agenzia creativa Mother New York, che già li aiutava a mettere su Instagram i classici della letteratura, per discutere come celebrare il 125esimo anniversario dell’istituzione. La realtà però ha preso il sopravvento, e nel silenzio spettrale generato dal “lockdown”, si è imposta la geniale intuizione di celebrare invece il rumore perduto.
Così sono stati registrati otto brani, con titoli tipo “To See an Underground Show”, “Romancing Rush Hour”, “For the Love of Noisy Neighbors”, “Out in Left Field”, o “I’d Call a Cab to Anywhere”. Va da sè che esaltano rumori di sottofondo perduti tipo il cigolio metallico della metropolitana sulle rotaie, l’amore tra i clacson dell’ora di punta, i vicini che ospitano un party urlante o litigano nel cuore della notte, i tifosi di baseball più insopportabili, gli insulti scambiati con un guidatore di taxi.
Esclusi dalla rassegna sono invece gli applausi che gli abitanti di New York tributano ogni sera alle sette ai “lavoratori essenziali”, che rischiano e perdono la vita per tenere aperta la città, e le sirene delle ambulanze. Nel primo caso, perché l’obiettivo era sigillare una capsula del tempo precedente all’epidemia, e nel secondo per la scelta cosciente di evitare un riferimento diretto all’aspetto più tragico dell’emergenza. Perché la nostalgia del rumore svanito sarà forse poetica, ma la paura del silenzio che l’ha sostituito è già di suo drammaticamente legata alla morte.
Un sabato sera di diversi anni fa, poco dopo la mezzanotte, un martello pneumatico cominciò a distruggere il marciapiedi che correva sotto le finestre della mia camera da letto. Disturbato nel meritato riposo, dopo un’intensa settimana di lavoro, scesi a protestare. Il capo cantiere mi fissò con lo sguardo che diceva «ecco un altro idiota che viene a rompermi le scatole», e tirò fuori un pezzo di carta. Era il permesso con cui le autorità municipali di New York lo avevano regolarmente e scientemente autorizzato a demolire quel marciapiede, tra la mezzanotte di sabato e le 6 del mattino di domenica. Tornai a casa con la coda tra le gambe, rimproverandomi la scelta di vivere in una città di pazzi. Stanotte pagherei, per sentire di nuovo la musica di quel martello pneumatico.