Corriere della Sera, 14 maggio 2020
La Cina riduce gli investimenti
La Cina è un po’ meno vicina. Non solo perché la pandemia l’ha messa sulla difensiva nei rapporti internazionali e frenato le strategie estere del presidente Xi Jinping, a cominciare dalla cosiddetta Nuova Via della Seta. Ma anche perché la spinta espansiva delle sue imprese nel mondo aveva già molto rallentato nel 2019. Un calcolo del Rhodium Group, una società di analisi politica ed economica, ha calcolato che gli investimenti cinesi diretti negli Stati Uniti sono crollati a cinque miliardi di dollari l’anno scorso, rispetto ai più di 50 del 2016 e ai circa 30 del 2017. Il Mercator Institute for China Studies (Merics, un think-tank tedesco) ha a sua volta calcolato che gli investimenti diretti dalla Cina nella Ue e nel Regno Unito sono diminuiti l’anno scorso del 33%, da 18 a 12 miliardi di euro (è dal 2016 che calano). I Paesi dell’Europa del Nord sono stati i maggiori luoghi di investimento cinese e per la prima volta hanno totalizzato più interesse di Germania, Gran Bretagna e Francia, storicamente i preferiti da Pechino. L’Istituto Merics sottolinea che la strategia cinese in Europa è cambiata: invece di investimenti per acquisizioni o per creare business dal nulla, ora l’interesse è a sviluppare collaborazioni nella Ricerca e Sviluppo con imprese, governi, università. Si tratta di partnership spesso positive ma non sempre, dice lo studio: «Casi problematici esistono, inclusi quelli che facilitano il trasferimento di tecnologia al complesso industrial-militare della Cina o contribuiscono alla capacità dello Stato di esercitare un controllo di massa sulla sua popolazione». Gli investimenti cinesi non sono crollati solo negli Usa e nella Ue ma in tutto il mondo: le operazioni globali di acquisizione e fusione sono per esempio scese dai 260 miliardi di dollari del 2016 ai 57 del 2019. Il motivo è in parte l’ostilità politica sviluppata da molti governi occidentali verso i capitali cinesi. Ma contano anche la crescente ritrosia di Paesi poveri a legarsi troppo a Pechino e lo stato di salute dell’economia cinese stessa. Il Rhodium Group ha calcolato che l’indebitamento delle famiglie cinesi è esploso negli scorsi anni ed è ormai attorno al 130% del loro reddito disponibile: quota di debiti che è la stessa che avevano le famiglie americane appena prima della crisi dei subprime mortgages del 2008. Non sono forse piedi d’argilla. Ma, in piena pandemia, nemmeno solidissimi sul terreno.