La Stampa, 14 maggio 2020
Intervista alla figlia di Albert Camus
La risata leggera di Catherine Camus arriva dalla Provenza, dalla villa che il padre le ha lasciato con tutti i suoi ricordi: pensieri da tramandare, pagine da riordinare, idee da curare. Lei, sabato, si collegherà con il Salone del libro alternativo mentre Bompiani distribuisce gratuitamente «Esortazione ai medici della peste», lavoro preliminare al romanzo che ora è rientrato in tutte le classifiche dei titoli più venduti: «Si sa, a ogni catastrofe, c’è bisogno di rileggere La peste».
Non le dà fastidio che il libro sia associato alla catastrofe?
«No. Ho 74 anni, continuo a lavorare per mantenere la memoria di papà e non lo faccio per Camus: lui se la cava bene senza di me. Insisto perché so che fa del bene alla gente. Senza dare lezioni, con l’umorismo che gli veniva spontaneo. In Francia dicono che ha "una morale da Croce rossa", ma in mezzo a un’emergenza si è felici di vedere una Croce rossa».
La peste ricalca in modo impressionante la situazione attuale. Fase per fase.
«Prima del virus ero angosciata, eravamo divorati dal mercato, correvamo dietro la nostra ombra. Andavamo troppo veloci, dritti contro il muro. L’epidemia non è una punizione però, proprio come nel romanzo, ci costringe a rivedere i comportamenti».
Si è chiesta che cosa avrebbe detto suo padre se fosse stato qui oggi?
«Non lo faccio mai, la ricerca di una risposta mi paralizzerebbe, ma ci sono parole sue che mi tornano in mente. In Lo stato d’assedio il protagonista che si batte contro la peste dice: "Non ho più paura" e significa che non teme più la burocrazia fascista. Almeno il coronavirus vi ha liberati da Salvini».
È successo?
«Il populismo è arretrato. Prima i soldi erano al potere e si usavano discorsi da piazza per fingere di contrastare questo stato delle cose. Ora possiamo anche essere ottimisti».
Si può in pieno disastro economico?
«Non si deve, ma si può, è un momento terribile e unico. In Francia non sono poi tutti così contenti di uscire, in Italia siete più coraggiosi, sorridenti, avete cantato sui balconi e scritto "tutto andrà bene". Qui le persone si sono fatte ancora più serie e buie».
Suo padre era isolato negli ultimi anni, confinato e distante dagli altri come lo siamo stati noi ora?
«Ben di più. Era solo. La destra lo trovava troppo a sinistra e la sinistra lo considerava troppo a destra. La gauche francese è preistorica, sono congelati nel permafrost. A me piace Macron, anche verso l’eredità culturale di mio padre lo trovo equilibrato».
Perché le piace?
«È pragmatico, l’ideologia ci ha portato al disastro. Lo criticano, però non è Macron che ha fottuto gli ospedali, è da quarant’anni che la Francia si impegna a farlo».
Macron ha saputo gestire l’epidemi?
«Lo vedremo. Ha fatto il meglio possibile, nessuno sa nulla di questo virus e gli specialisti sono terribili, mortali: ognuno è chiuso nel proprio settore. La verità è che non abbiamo idea del mondo in cui saremo tra tre mesi e detesto il modo in cui radio e tv cercano di terrorizzarci per tenerci chiusi in casa. Lo vede? Sempre Lo stato d’assedio, la paura usata per opprimere».
Abbiamo imparato qualcosa da Camus stavolta?
«Se seguissimo la sua filosofia dovremmo cambiare Liberté, Égalité, Fraternité, andrebbe sostituita uguaglianza con solidarietà. Non siamo tutti uguali, non è naturale e i francesi passano la vita frustrati a controllare se, per sbaglio, il vicino ha qualcosa in più. L’uguaglianza ci ha fregato».
Ha ereditato da suo padre anche la passione per il calcio?
«Sì, giocavamo quando ero piccola: era stato portiere ma dopo la tubercolosi aveva smesso. Ci ha trasmesso l’amore per il pallone. Quando l’Italia ha battuto la Germania ai Mondiali del 1982 telefonavo agli amici per dire "Grazie, ci avete vendicato". I tedeschi avevano appena abbattuto Battiston».
Per chi tifa?
«Papà si era scelto il Racing Paris per i colori, gli stessi dell’Algeria. A me piace il Nantes, non mi piace il Marsiglia e detesto il Paris Saint Germain: sono ignobili. La Juve mi fa simpatia».
Come mai?
«Sono eleganti, stavano per vincere in Italia? So che la Lazio andava bene, poi tutto si è fermato e in Francia non ricominceranno, ma il calcio in Italia è... diverso».
Vive ancora nella casa che Camus ha comprato, lo rivede in quelle stanze?
«Sì, sempre. Lo immagino ridere, lo faceva spesso ed era l’unico della sua famiglia. Era difficile che i pied-noir, gli immigrati di allora, fossero di buon umore».
In passato ha cercato le sue radici in Algeria?
«Ci sono andata quando è morto, nel 1960 e mai più. Guardo avanti e lì la sua figura è ancora molto controversa. Era indifferente al potere e in Algeria la politica cerca il controllo. Come in Turchia, dove Erdogan ha fatto ritirare i sui libri dalle biblioteche e sono fiera di papà per questo, orgogliosa che i regimi lo trovino pericoloso».