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 2020  maggio 14 Giovedì calendario

Storia della Asti-Cuneo, l’autostrada che finisce nel nulla

Entro agosto ripartiranno i lavori». Giuseppe Conte aveva peccato di ottimismo la mattina del 18 marzo dello scorso anno, sporgendosi dal bordo del viadotto sospeso nel nulla che guarda le colline patrimonio Unesco delle Langhe. Sono passati quattordici mesi e adesso - forse - è vero: con l’estate il cantiere per l’ultimo tratto dell’Asti-Cuneo potrebbe rimettersi in moto dopo otto anni di limbo. E completare una volta per tutte la grande incompiuta del Nord Ovest, l’autostrada su cui dal 2012 non si vede un operaio.
L’ultimo ostacolo è la riunione di questa mattina del Cipe, il comitato per la programmazione economica, nella quale con quattordici mesi di ritardo dovrebbe arrivare l’ultimo parere al "lodo Toninelli", la soluzione voluta dall’ex ministro delle Infrastrutture per completare gli ultimi nove chilometri, dal moncone di Cherasco ad Alba, e chiudere una ferita che zavorra da troppo tempo una delle terre più ricche e operose d’Italia. «È un passaggio che attendiamo da mesi», spiega il presidente della Regione Alberto Cirio. «Ci auguriamo sia davvero la volta buona». Arriverebbe nei giorni in cui un’altra grande e lacerante incompiuta di questo territorio, l’ospedale di Verduno (avviato nel 1993), è arrivata a destinazione. 
La «Salerno-Reggio Calabria del Nord», così l’hanno chiamata, si è bloccata otto anni fa. «Si farà in cinque anni», dicevano nel 1989 quando fu fondata la società per azioni Raccordi autostradali cuneesi, anche con l’obiettivo di realizzare i 90 chilometri tra Asti e Cuneo e unire Monferrato e Langhe, le colline dei vini pregiati e dei resort, migliaia di piccole aziende e alcuni colossi come Ferrero. Ce ne sono voluti undici per partire, nel 2000, e altri dodici per arenarsi. I lavori si sono bloccati nell’anno in cui avrebbero dovuto terminare: i fondi, già lievitati rispetto al previsto da 980 milioni a un miliardo e mezzo, erano finiti, eppure mancavano 9 chilometri su 64 più tutti i raccordi complementari. Nel mezzo - prima e durante i cantieri - anni di carte bollate: Anas, privati, Corte dei Conti, Tar, Consiglio di Stato.
Ora una soluzione c’è. Il "lodo Toninelli", fatto proprio con qualche modifica dall’attuale ministra, Paola De Micheli, stabilisce che la porzione mancante sarà pagata da Astm, società che fa capo al gruppo Gavio e fino al 2030 ha la concessione sulla tratta, che si farà carico dei 350 milioni necessari per gli ultimi 9 chilometri e dei 350 per le opere collegate. «Basta vantaggi ai privati», era lo slogan con cui Toninelli e Conte all’epoca smontarono tra le proteste dei sindaci, dell’allora presidente del Piemonte Chiamparino e di tutto il Pd, lo schema costruito dall’ex ministro Graziano Delrio: in cambio dei lavori, al gruppo Gavio sarebbe stata prolungata dal 2026 al 2030 la concessione sulla Torino-Milano e a quel punto l’intero pacchetto (A4, Asti-Cuneo, Torino-Piacenza e tangenziale di Torino) sarebbe andato a gara. Oggi il Pd è al governo e lo scenario è cambiato. Il nuovo piano non modifica la durata delle concessioni - e dunque archivia la maxi gara suggerita anche dall’Unione europea - ma assegna a Astm un valore di subentro complessivo di 1,2 miliardi: 888 milioni sulla Torino-Milano e 345 sull’Asti-Cuneo. Significa che a concessioni scadute, se dovesse cambiare gestore, il nuovo arrivato dovrebbe indennizzare Astm per i 700 milioni di lavori eseguiti. Un saldo netto di mezzo miliardo, che si aggiunge alla facoltà - inserita nel testo - di ritoccare i pedaggi sulla Torino-Milano del 2,2% ogni anno dal 2023 al 2026. 
Negli ultimi quattordici mesi, dopo la visita di Conte e Toninelli, Astm ha espropriato i terreni del primo dei due lotti, su cui esiste già un progetto; del secondo lotto non è stato definito nemmeno il tracciato. Ecco perché a Cuneo predicano calma: «La diffidenza di questo territorio su ciò che viene detto riguardo la A33 è tale che nessuno si sbilancerà fino a quando non vedrà gli operai nei cantieri», dice il sindaco Federico Borgna, del Pd. Dodici anni di stallo - e trentuno di promesse mancate - hanno lasciato il segno, e soprattutto pesanti ripercussioni su un territorio abituato a correre. Nonostante questa enorme falla nella viabilità, prima che il coronavirus stravolgesse tutto, la provincia di Cuneo esportava beni per 7 miliardi l’anno, e ogni giorno 5 mila Tir ne solcavano le strade provinciali. L’associazione trasportatori ha calcolato in 100 milioni l’anno il danno economico dell’autostrada che non c’è: 800 milioni per i dodici anni di stallo; oltre un miliardo se si considera che ce vorranno almeno altri tre prima di veder completati gli ultimi 9 chilometri.