Avvenire, 14 maggio 2020
Il caso del Vietnam
C’è un Paese, il Vietnam, che sembra sorprendentemente immune dagli effetti più devastanti della pandemia, con un bilancio di soli 288 casi, quasi tutti ormai restituiti alla vita normale e nessun decesso. Una situazione che ha riportato alla memoria la lotta contro la Sars che qui ebbe l’epicentro, e la figura di Carlo Urbani che sacrificò la vita per debellare il contagio. Comun- que una reazione all’aggressione del Covid-19 che ha portato al Vietnam il plauso delle autorità sanitarie mondiali e che ha permesso al Paese di mantenere un ritmo produttivo e di crescita a livello positivo (2,7 per cento di incremento del Pil previsto quest’anno), diverso dal 7 per cento del precedente biennio ma superiore a quello della maggior parte dell’Asia.
Sul piano del contagio il confronto immediato è con nazioni della stessa aree geografica, come Indonesia e Singapore che stanno affrontando con un’immensa disparità di mezzi la seconda ondata di infezioni, ma ancor più le Filippine che con una popolazione di 105 milioni contro i 96 del Vietnam hanno registrato finora 11.618 casi e 772 decessi. La politica vietnamita è stata combattiva, aggredendo le prime fasi del contagio con la chiusura di tutte le scuole da gennaio e una quarantena stretta applicata dal 16 marzo: chiusura di ogni attività produttiva e commerciale, proibizione agli spostamenti, “arruolamento” degli studenti di medicina e di infermieristica e una rete di controllo sociale che ha isolato ogni focolaio. Pesanti le sanzioni, fino a 12 anni di reclusione per chi dovesse infettare altre persone. Decine di migliaia di viaggiatori in arrivo da Paesi con un elevato numero di infezioni sono stati messi in quarantena in strutture di tipo militare. Una graduale riapertura è in corso dal 24 aprile, ultima quella di asili e scuole elementari lunedì scorso, ma i dati ufficiali – a partire dal basso numero di test effettuati – non possono cancellare tutti i dubbi sul “miracolo”. L’esperienza del Vietnam si pone tuttavia alla testa di un drappello di casi che includono Corea del Sud e Taiwan con i quali il confronto con i maggiori Paesi europei e gli Stati Uniti risulta impietoso.
Un ruolo nel fortunato caso vietnamita potrebbe avere avuto la relativa intensità dei rapporti con la confinante Cina, rivale commerciale e avversario storico a cui il Vietnam sta da anni erodendo quote di esportazioni e investimenti. Molto, si dice, si deve all’esperienza di contenimento dell’epidemia di Sars tra il 2002 e il 2003. Il confronto più volte emerso con questa patologia anche in Italia negli ultimi mesi in relazione alla diffusione del Covid-19, non può ignorare che la sconfitta della Sindrome respiratoria acuta grave si deve all’intuito e al sacrificio del marchigiano Carlo Urbani, l’esperto di malattie infettive dell’Organizzazione mondiale della Sanità ucciso dalla malattia il 29 marzo 2003 in un ospedale di Bangkok. Proprio Urbani era riuscito a convincere il governo di Hanoi a imporre la quarantena e fu lui, insieme a altri quattro medici, a pagare il prezzo più alto all’identificazione di una infezione da cui il Vietnam fu il primo a liberarsi.
Oggi le autorità possono cominciare a valutare anche i danni, a partire dal turismo che vale il 10 per cento del Pil, ma si prevede anche un aumento del debito pubblico dal 38 per cento del 2019 al 42,5 per cento. Con il 60 per cento delle aziende in sofferenza e 35mila già chiuse nel primo trimestre dell’anno con una minima sostituzione, il rischio è non solo di recessione, ma anche che si blocchi il processo di svecchiamento del sistema-Paese basato su una crescita del settore privato e di un incremento dei servizi.