Corriere della Sera, 12 maggio 2020
Vita negli ospizi abusivi
Se «l’anziano non è che un relitto umano, un abito a brandelli appeso ad un bastone», per dirla col poeta irlandese William Butler Yeats, quanti «relitti umani» sono abbandonati oggi negli ospizi clandestini? Non passa giorno, ormai, senza che sia scoperta una nuova casa di riposo fuorilegge. Spesso senza decoro. A volte topaie. Perfino con tutte le finestre sbarrate come si trattasse di case disabitate. Popolate da fantasmi che piangono silenziosi.
Spiriti erranti come un poveretto ottuagenario che qualche settimana fa sbandava spiritato in pigiama per le strade dello Sperone, a Palermo, inseguito da due donne che cercavano di acchiapparlo per riportarlo nella sua gabbia. Dentro un ricovero totalmente abusivo e nascosto allestito abbattendo una tramezza per ospitare undici ombre come lui. Vecchi e vecchie in buona parte disabili e scaricati da famiglie troppo povere o troppo indifferenti per occuparsi di loro.
«Meridionali!», dirà qualcuno facendo spallucce. No. La proliferazione di ospizi abusivi riguarda tutto il Paese. Dal Sud più profondo al Nord prealpino. Certo, non si tratta di una novità assoluta. Dal gennaio 2017 all’ottobre 2019, come ricordava nell’autunno scorso Maria Rosa Tomasello su La Stampa, i Nuclei Antisofisticazioni e Sanità dei carabinieri «hanno segnalato all’autorità giudiziaria 1.119 persone e 20 di queste, principalmente gestori di comunità alloggio o strutture assistenziali, sono state sottoposte a misure cautelari per reati che vanno dal maltrattamento, all’abbandono di incapaci fino alle lesioni e all’omicidio colposo». Frutto avvelenato, in un Paese che invecchia, «di una strutturale carenza di servizi, in particolare di assistenza domiciliare, che spinge le famiglie a scegliere soluzioni a volte approssimative o rischiose».
Spesso si tratta, ha spiegato il generale Adelmo Lusi, che dei Nas è il comandante, di «strutture autorizzate a fornire solamente prestazioni a carattere assistenziale» dove «viene anche indebitamente garantita assistenza sanitaria, spesso da personale non specializzato, anche nei confronti di anziani affetti da patologie cronico-degenerative come Alzheimer, demenza senile, incapacità motoria, instabilità mentale».
A volte, data l’insufficienza di posti letto nelle strutture pubbliche o convenzionate e la difficoltà a coprire i costi di una retta, che in una Regione come il Veneto può andare dai 49 ai 56 euro al giorno per la sola quota sanitaria destinata ai soli non-autosufficienti dalla Regione e dai 45 ai 65 euro per quella «alberghiera» in parte pagata dai Comuni assai squattrinati e in parte dai ricoverati, può capitare che gli stessi parenti finiscano per difendere qualche casa di riposo nei guai perché fuori regola. È successo ad esempio a una casa vacanze trevisana riciclata in una specie di Rsa con 35 ospiti dei quali 21 non autosufficienti: «I nostri famigliari sono assistiti benissimo, in una struttura che è una valida alternativa alle case di riposo...». Come se fosse solo una faccenda di timbri mancanti.
Troppe volte, al contrario, sono emerse storie indifendibili. Come a Pistoia, dove il padrone di un immobile si era inventato un ospizio fai-da-te prendendo in casa sette donne fra i 78 e i 97 anni, quasi tutte non autosufficienti, e le aveva affidate (niente dispositivi di chiamata né luci notturne né abbattimento delle barriere architettoniche né servizi igienici assistiti né assistenza infermieristica...) a una badante nigeriana e una marocchina. O a Ferrara, dove una coppia di anziani si era fatta convincere (circonvenzione di incapaci, secondo la figlia) da due operatrici a prendere in casa loro «altri dieci pensionati». O ancora a Pescara, dove un’altra assistente domestica, stando alle accuse, aveva approfittato della perdita di lucidità della sua assistita per dare un ricovero ad altri sette ospiti...
Per non dire dei «farmaci scaduti, alimenti non tracciabili, personale di assistenza senza qualifiche per somministrare i farmaci prescritti dai medici» e dei locali invasi dalla muffa e senza finestre scovati due mesi fa in due case di riposo abusive a Velletri ed Albano Laziale dove erano stati accasati una decina di anziani perlopiù non autosufficienti. O delle tre case di riposo messe sotto accusa negli ultimi giorni nella sola Fiuggi. Dove un hotel trasformato in ospizio si vantava sul web di essere «una struttura attrezzata per la terza età» con «personale qualificato, sempre a disposizione di ogni ospite per fornire un’assistenza completa e molto professionale: servizio medico, servizio infermieristico, prestazioni specialistiche, terapia riabilitativa funzionale, attività motoria, terapia occupazionale, assistenza psicologica...». Una specie di residenza deluxe dove gli ispettori hanno trovato in realtà venti ospiti e, oltre alle due proprietarie, solo «due dipendenti professionalmente indicate come addette alle pulizie».
Casi estremi e isolati? Niente affatto. L’aumento dei controlli dovuti alla pandemia di Covid-19 ha fatto emergere ospizi irregolari o totalmente abusivi da Catania al Lago di Como, da Viareggio a Cremona. Ma soprattutto nel Lazio: «Il sommerso è considerato enorme», ha scritto un mese fa Rinaldo Frignani nelle pagine romane del Corriere, «centinaia di case di riposo clandestine sorte negli ultimi anni soprattutto alla periferia di Roma, e ai margini di molti comuni laziali, che possono ospitare un minimo di otto-dieci anziani, non autosufficienti, spesso bloccati a letto. Assistiti da personale non qualificato e non specializzato, con parenti che a volte si interessano solo di pagare la retta mensile. In nero».
Un fenomeno con pesanti risvolti proprio in questi tempi di emergenza: «Basti considerare infatti che, secondo gli accertamenti dei militari del Nucleo antisofisticazione e sanità dell’Arma, che dipendono dal ministero della Salute, almeno il 30% delle case di riposo o delle case famiglia trasformate in ospizi è abusivo». Una su tre. Commento di Francesca Danese, già assessore comunale di Roma e ora portavoce del Terzo Settore Lazio: «C’è chi negli anni passati ha investito proprio sugli ospizi, trasformando immobili di proprietà fuori Roma in strutture abusive per accogliere anziani malati e soli. Nessuno ha controllato: questo è il problema».
Domanda: in una situazione come questa, dove Stato e Regioni sono da anni in difficoltà davanti all’aumento degli anziani e dei non autosufficienti, che oggi sono intorno ai tre milioni (ma nel giro di una decina di anni per il Rapporto Osservasalute della Cattolica dovrebbero raddoppiare), vale davvero la pena di chiudere a una regolarizzazione delle badanti irregolari che oggi assistono circa un milione italiani? Italiani che altrimenti peserebbero molto ma molto di più, in denaro e non solo, sulle nostre strutture d’accoglienza? Come diceva Renzo Arbore in una vecchia pubblicità: «Meditate, gente. Meditate».