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 2020  maggio 12 Martedì calendario

I partiti e il problema del 2 per mille

«Sarebbe stato veramente irrispettoso cercare di approfittare di questa fase così difficile per gli italiani per chiedere una anticipazione di liquidità oggettivamente immotivata». È l’ora di pranzo quando fonti di governo pentastellate salutano con queste parole la cancellazione dalla bozza del Dl Rilancio dell’articolo 133, intitolato «Due per mille», quello che avrebbe permesso il versamento ai partiti entro il 31 agosto di un acconto pari a quello erogato nel 2019, prevedendo che entro il 31 dicembre sarebbe arrivato il “conguaglio” in base all’importo reale destinato dai contribuenti con le dichiarazioni dei redditi.
La norma era contenuta nel pacchetto delle proposte a firma del viceministro Pd dell’Economia, Antonio Misiani. La ratio? Sopperire al buco nelle casse dei partiti legato al differimento al 30 novembre della scadenza per la presentazione delle denunce, che comporta lo slittamento a fine anno delle somme del 2 per mille che per legge vengono versate con acconto ad agosto. Per quasi tutte le forze politiche, tranne appunto il M5S che non presenta il suo statuto alla commissione parlamentare di garanzia e dunque non accede a quello che ritiene un finanziamento pubblico mascherato, queste donazioni sono infatti la principale fonte di approvvigionamento. E senza correttivi il rischio è chiaro: il rosso in bilancio.
Basta guardare l’ultima fotografia, scattata lo scorso gennaio: 1,4 milioni di contribuenti su 41,2 milioni totali hanno scelto di destinare il 2 per mille ai partiti. Ed è il Pd ad aver incassato la fetta più ampia della torta complessiva di 18 milioni di euro di donazioni, con 8,4 milioni (+1,4 milioni rispetto all’anno precedente). A seguire c’è stata la Lega per Salvini premier (oltre 3 milioni, che diventano quasi 4 complessivi se si aggiungono i 753mila euro della Lega Nord per l’indipendenza della Padania). Anche per Fdi il 2 per mille è valso una boccata d’ossigeno da 1,1 milioni. E per alcune forze politiche è stata quasi vitale: +Europa al debutto era arrivata a quota 800mila euro, Rifondazione Comunista aveva mantenuto oltre 500mila euro.
Davanti a queste cifre non stupisce che nella maggioranza siano stati proprio i dem a proporre la misura, concepita quando il tesoriere era ancora il senatore Luigi Zanda, che nel 2019 aveva accettato di gestire le casse del partito in un momento di estrema difficoltà, con entrate in netto calo, oltre 170 dipendenti in cassa integrazione e un bilancio relativo all’esercizio 2018 chiuso con un passivo di 600.495 euro (ma crediti vantati nei confronti dei parlamentari pari a 822.542 euro, poi in gran parte saldati). Ma dal Nazareno sostengono che l’iniziativa di aggiornamento della legge sul 2 per mille era stata presa per motivi fiscali, visto che le scadenze sono disciplinate lì, senza nessun legame con i bilanci dei partiti. «L’idea era mantenere un acconto con la stessa tempistica prevista in passato, a parità di stanziamento e senza alcun costo aggiuntivo per lo Stato», spiega Misiani. Se infatti l’acconto fosse stato superiore alle somme spettanti la norma prevedeva che i partiti beneficiari restituissero la differenza. 
Ma gli stessi dem, nel vertice governativo fiume di domenica con il premier Giuseppe Conte,sono apparsi poco convinti dell’opportunità di utilizzare proprio il veicolo del decreto Rilancio per intervenire, con famiglie e imprese provate dagli effetti del lockdown. Ed è stato alla fine il capodelegazione Pd Dario Franceschini a sollecitare l’eliminazione dell’articolo. Non può sorprendere la reazione gongolante dei Cinque Stelle dopo lo stralcio: «È un passo indietro che ci soddisfa».