Il Messaggero, 12 maggio 2020
Il Diavolo a Milano nel 1630
Sulle analogie tra la pandemia Covid-19 e il contagio della peste raccontato nei Promessi sposi, ormai sappiamo tutto. Una cronaca, quella di Alessandro Manzoni, palpitante di partecipazione e come ripresa dal vivo. Un resoconto ricavato dalla testimonianza che ne lasciò lo storico e latinista Giuseppe Ripamonti (1573-1643). È lo stesso Manzoni, nel trentunesimo capitolo del romanzo, ad affermare che tra le tante relazioni da lui consultate, quella del Ripamonti le supera tutte, per quantità e per la scelta dei fatti, e ancor più per il modo d’osservarli.
LE MORTI ORRENDE
L’autore di Fermo e Lucia lesse la cronaca di Ripamonti in latino; un latino che gli specialisti hanno sempre definito di grande eleganza. Noi oggi possiamo leggerla in un gradevole italiano, grazie alla benemerita edizione della Casa del Manzoni (2009). Libro prezioso, in cui il racconto di Ripamonti (De peste quae fuit anno MDCXXX libri V, magistralmente tradotto da Stefano Corsi) è accompagnato da una rassegna, a cura di Cesare Repossi, dei testi a confronto (del Ripamonti e del Manzoni) e da un saggio del presidente del Centro Studi Manzoniani, Angelo Stella, godibile sul piano filologico e con acute annotazioni sull’attualità di entrambi i testi.
L’esordio in Ripamonti: Nell’accingermi a raccontare gli strali della pestilenza, le morti orrende, la città resa vuota dai lutti, il popolo decimato, la cancellazione anche dei concetti di lutto, città, popolo, e insieme del diritto naturale, avrò bisogno dell’indulgenza di quanti, nella loro prudenza di personaggi pubblici, leggendo di questi scenari spaventosi, disapproveranno me e un racconto tanto orribile. E perciò: Non sarà stato senza utilità avere rivolto l’attenzione a simili fatti: le menti assennate, altrove rimpinzate di inganni e dallo spettacolo dei cattivi maneggi, qui riconosceranno il costo degli errori e cominceranno a far giusto conto delle realtà mondane che così profondamente le inquietano; s’intende, quando vedranno che tante migliaia di persone sono morte a causa dell’alito avvelenato che si sono scambiate.
L’ALITO AVVELENATO
Ripamonti parla di alito avvelenato, non di untori, e questo è già è da rilevare come perspicace intelligenza dei fatti. Anche se non può fare a meno di trascrivere quanto da lui visto e sentito: Ci fu una voce ripetuta di continuo in città, anche presso la maggior parte delle persone assennate non irrisa come si sarebbe dovuto: che il diavolo aveva affittato un alloggio in Milano, nel quale aveva fissato la sua sede e la sua corte, nonché la sola dimora della sua attività, per far circolare e distribuire gli unguenti.
A proposito della chiusura di città e regioni, oggi tanto discusse e più o meno osservate, Ripamonti annota che già nel 1628 il Tribunale di Sanità aveva avvertito quello di Provvisione: Poiché la pestilenza si andava rafforzando in Francia, nelle Fiandre e in Germania, e ormai aveva preso ad avanzare con evidenza presso le città di Berna e Lucerna, nel Vallese e da ultimo a Poschiavo e in altre zone confinanti con la Valtellina, il Presidente della Pubblica sanità, consigliandosi con il Governatore, aveva deciso che non si dovesse indugiare oltre nel munire le porte cittadine di cancelli e nell’introdurre il ricorso ai lasciapassare. E qui segue un questionare se toccava al regio erario provvedere alle spese o al Vicario, decidesse in proposito il pubblico Consiglio con i suoi sessanta Decurioni.
Pieni di buon senso e di cristiana pietà, i consigli che il Cardinale in quel tempo pubblicò per il clero (attento anche lui al contagio attraverso il respiro): Se il malato sarà in uno stato tale per cui si potrà spostare, lo condurrai da qualche parte ove starete all’aria aperta, più pura, tanto tu quanto il penitente. Se invece non lo si potrà muovere, voi sacerdoti starete alla finestra, o sulla porta, purché la distanza osservata non metta in pericolo la segretezza della confessione Guarderai che i tuoi vestiti non tocchino quelli del malato o le sue coperte e mescolerai il meno possibile il tuo alito con il suo respiro e il suo fiato e, rivolto per quanto si potrà in altra direzione il suo volto, ti disporrai ad ascoltarne e giudicarne i peccati.
IL GHOSTWRITER
Tutta da leggere, questa cronaca, specie laddove si riferisce a Federico Borromeo, cui Ripamonti annota il traduttore Stefano Corsi era debitore di nomine prestigiose (Dottore della Biblioteca Ambrosiana e Canonico di Santa Maria della Scala) nonché di una lunga protezione (spesso da lui medesimo messa a dura prova). Da lui medesimo messa a dura prova, cioè dall’Arcivescovo Federico. Perché? Qui si deve accennare alle disavventure del povero Ripamonti a causa, proprio, del suo magnifico latino. Accusato di stregoneria e di maneggiare libri proibiti, dopo quattro anni di carcere, fu graziato dallo stesso Cardinale, che in questo modo così dicono i maligni mise il bavaglio al suo presunto ghostwriter.
Da una lettera di Ripamonti riportata da Edgardo Franzosini in Sotto il nome del cardinale (Adelphi, 2013): L’origine dei miei mali non è veramente quella che appare; ma è perché, essendosi il Cardinale Borromeo fieramente invaghito della fama di scrittore latino, et havendo in ciò adoperata l’opera mia per lo spazio di dieci anni, vuole che io sia morto prima di lui; et debbo morire se Dio non fa qualche miracolo. Onore a Giuseppe Ripamonti.