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 2020  maggio 11 Lunedì calendario

Pochi affari a Piazza Affari

In Borsa l’unica certezza è che, alla lunga, i prezzi non possono correre più degli utili. E la crescita degli utili, nel complesso, non può eccedere quella del reddito nazionale, poiché la quota dei profitti non può assorbirne il 100%. Il dato rilevante per definire il trend degli utili è quindi quello calcolato dalla contabilità nazionale: negli Usa da 50 anni straordinariamente stabile intorno al 7%. I prezzi di Borsa invece salgono e scendono continuamente perché i movimenti nel breve sono dominati da “fear and greed” che nulla hanno a che fare con gli utili; e perché gli utili per azione (Eps) contabili sono spesso imbellettati per soddisfare le voghe del momento.
Ma le voghe passano e gli utili contabili tornano inevitabilmente a crescere in linea con quelli della contabilità nazionale. Cosa che accade con regolarità alla vigilia di ogni recessione, come chiaramente illustrato nel grafico allegato di Gavekal.
Il che ci porta alla conclusione che il rapporto attuale di 22 volte tra prezzo e utili attesi nel 2020 (P/E) dello S&P500 americano non solo sconta una ripresa a V, con un completo recupero di produzione, consumi e commercio internazionale a inizio 2021, ma anche che gli utili continueranno a crescere al di sopra del trend del 7%. C’è infatti una relazione tra P/E e crescita degli utili: maggiore il multiplo, maggiore la crescita. Un P/E di 22 supera di tre volte il trend degli utili: poiché è un rapporto mai toccato negli ultimi 15 anni, la crescita attesa implicita nel P/E deve necessariamente essere superiore al trend. Non molto probabile, vista anche la lentezza del recupero dell’economia cinese, a mesi dalla fine dell’epidemia nel Paese.
Le aspettative euforiche stanno contagiando anche Piazza Affari. Ho analizzato le stime (fonte Factset) per le società quotate italiane con capitalizzazione superiore ai 100 milioni. Ho escluso banche, energia, media e società calcistiche, perché colpite da shock peculiari al settore oltre che dal Covid-19, e le utility (più Telecom) perché la dinamica dei risultati dipende in larga parte da regolamentazione e contratti a lungo termine. Ne risulta un campione di 83 società, con ricavi complessivi di 250 miliardi, molto rappresentativo della nostra struttura produttiva, prevalentemente di manifattura e industria di medie dimensioni votate all’export. Si va dai 100 milioni di capitalizzazione di Cellularline, ai 26 miliardi della Ferrari.
Secondo le stime di consensus, queste società se la caverebbero molto meglio del resto dell’economia: 78% del campione infatti avrebbe una riduzione dei ricavi inferiore al declino del Pil previsto dalla Commissione Europea (-9,5%). La società mediana perderebbe appena il 3% del fatturato, ma già nel 2021 più che recupererebbe i ricavi perduti, che crescerebbero del 4% rispetto ai livelli pre Covid del 2019. Una V molto stretta dunque. Ma oltre ai ricavi bisogna guardare agli utili: anche qui è una V che prevale nelle attese. L’Eps atteso mediano scende del 16% quest’anno, ma già nel 2021 è 5% in più rispetto al dato 2019 pre Covid. Stando alle attese, la maggioranza delle società del campione l’anno prossimo avrebbe un utile per azione superiore all’anno passato; per le 40% migliori, l’incremento sarebbe addirittura del 14%.
Nonostante le previsioni degli utili a dir poco ottimistiche, il P/E medio del campione sugli utili 2020 è di 21: di poco inferiore a quello dello S&P 500, nonostante da noi non ci siano Google o Amazon, e sulle imprese gravi il macigno del debito pubblico e la burocrazia. Tre quarti del campione ha un P/E maggiore di 13, non certo una valutazione da saldo. Si va da un minimo di 4 volte per Ovs, a 60 e più per Amplifon, B.Cucinelli e Ferragamo. Se poi, non improbabile, la ripresa non dovesse essere una V stretta ma una U larga, sarebbero multipli insostenibili. Si chiamerà anche Piazza Affari, ma di affari in giro se ne vedono pochi.