Affari&Finanza, 11 maggio 2020
Venti miliardi di risparmi forzati
"Non ho dubbi. Se John Maynard Keynes fosse vivo, andrebbe in tv a incitarci a spendere il più possibile, come fece alla radio con le massaie inglesi durante la Grande Recessione". Giulio Santagata scorre i dati preliminari di un’analisi che Nomisma sta ultimando sul comportamento delle famiglie nel lockdown. Una lunga esperienza da consigliere economico di Romano Prodi, poi ministro nell’ultimo governo del professore, Santagata racconta di aver voluto misurare quante famiglie durante la quarantena hanno conservato intatti i loro redditi e quanti risparmi hanno messo da parte. Quest’ultimo risultato non è da poco: siamo nell’ordine dei 20 miliardi. "Ho voluto anticipare i primi dati dell’indagine", dice, "perché questo tesoretto potrebbe aiutarci a uscire più rapidamente dalla crisi, se il governo individuasse un modo per incentivare le famiglie a tornare a consumare".
I 20 miliardi di risparmio forzoso calcolati da Santagata, che in Nomisma è il responsabile per i temi dello sviluppo sociale, sono il frutto di una crisi senza paragoni nella storia recente, com’è quella generata dalla pandemia. Allo stesso tempo, però, la riflessione su come rimettere queste risorse in circolo per imprimere spinta alla ripartenza richiama una questione generale, che affligge il sistema economico da oltre un decennio.
Le famiglie italiane tengono fermi sui conti correnti 1.174 miliardi di euro, sui quali hanno rendimenti vicini a zero, perché non si tratta di investimenti ma di liquidità, pronta per essere ritirata al momento. Un volume di risorse congelate, che è esploso nell’ultimo quindicennio e che nel 2011, all’inizio della crisi dello spread, aveva appena passato la soglia degli 800 miliardi. "È come se riempissimo sempre più un granaio che non viene mai utilizzato", dice Marcello Messori, direttore della School of European Political Economy della Luiss: "Non solo non si usa il grano che contiene per sfamare le persone ma non si prelevano nemmeno i semi per far crescere nuovi raccolti".
Istinto da shopping
Consumi e investimenti sono due aspetti diversi della questione, ed è ai primi che pensava Santagata quando è partita l’indagine effettuata da Nomisma su un campione di 900 famiglie. Lo spunto è venuto dalla notizia della riapertura della boutique Hermès a Wuhan, che in un giorno ha stracciato ogni record, incassando 2,7 milioni di dollari. Lo hanno chiamato "revenge shopping", e naturalmente non fa per tutti. La quarantena è stata vissuta con angoscia da una moltitudine di lavoratori, commercianti, artigiani, che hanno visto i redditi ridursi in modo drastico e sono stati costretti a intaccare i risparmi o chiedere sussidi. Allo stesso tempo, i risultati preliminari dell’indagine di Nomisma dicono che durante il lockdown il 65 per cento delle famiglie ha percepito un reddito netto non inferiore a quello di gennaio e febbraio e più della metà (il 54 per cento del totale) è riuscito a risparmiare in misura uguale o maggiore rispetto a prima: fatto che non sorprende, considerando che tutti erano chiusi in casa.
Cogliere l’attimo
Incrociando i dati Istat e Confcommercio con le risposte, Nomisma arriva a stimare l’entità complessiva del risparmio forzoso in circa 20 miliardi, e tra 8 e 10 miliardi la quota che le famiglie trasformeranno in consumi, una volta che sarà consentito. Un dato a due facce. Una mostra che le preoccupazioni per il futuro continuano a esigere un prezzo, spingendo a tenere il portafoglio chiuso anche una parte di coloro che in realtà non hanno perso reddito. L’altra faccia, la quota di 8-10 miliardi che più rapidamente si trasformerà in consumi, fa invece risaltare la voglia di normalità pronta a sfogarsi: "Sarebbe importante fare di tutto perché gli italiani consumino di più: con incentivi adeguati la quota di risorse che si rimetterebbero in moto sarebbe più alta", dice Santagata.
Il dilemma è come intervenire, una volta si decidesse di farlo. Il governo ha pensato alcuni provvedimenti, un superbonus per ristrutturare in modo verde gli edifici, o un contributo per chi va in vacanza, limitato a certe fasce di reddito. I problemi però sono diversi. Il primo è che il clima di forte incertezza rischia di compromettere l’efficacia degli eventuali stimoli alla domanda. Dice Guido Tabellini, professore di Economia all’Università Bocconi: "È difficile fare previsioni e gli economisti sono divisi. Alcuni temono che la paura di perdere il reddito o il lavoro incida parecchio. Personalmente non sono così convinto, perché ritengo che potrebbe prevalere la reazione di fronte alla prospettiva di tornare a vivere e di riprendere a comportarci come prima, magari con più entusiasmo. Sono motivati entrambi gli scenari".
L’economista osserva che in ogni caso sarà decisivo cogliere l’attimo, perché le paure delle persone si sgretoleranno solo quando l’emergenza sanitaria sarà finita e saranno individuate cure adeguate: "A quel punto, se ci si renderà conto che le persone stanno risparmiando troppo, la politica economica ha tutti gli strumenti per intervenire in maniera efficace per stimolare la domanda, senza creare effetti distorsivi". Tabellini non sembra convinto dagli incentivi parziali, dietro i quali intravede le pressioni delle lobby. Per questo preferisce interventi di ampia portata: "Per accelerare i consumi si potrebbe abbattere l’Iva in modo temporaneo e per un periodo ben delimitato. L’effetto si trasmetterebbe immediatamente ai prezzi e ridarebbe vitalità al commercio. Il rischio sarebbe ovviamente quello di anticipare soltanto i consumi, che poi tornerebbero a rallentare. Ma se c’è il timore che le persone continuino a comportarsi in maniera troppo prudente, frenando la ripresa, può essere una soluzione".
Se rimettere in circolo il tesoretto individuato da Nomisma è possibile, più arduo è rompere la bolla d’incertezza che ha gonfiato fino alla soglia di 1.200 miliardi la liquidità congelata dalle famiglie in semplici e per nulla remunerativi conti correnti. "Il peso elevato della ricchezza finanziaria rispetto al Pil è un fenomeno che ha radici profonde e rappresenta l’altra faccia dell’esplosione del debito pubblico", dice Marcello Messori, che indica fra le cause principali il fatto che, negli anni Ottanta, le persone si fossero abituate a godere di rendimenti reali che arrivavano a toccare il 5 per cento sui titoli di Stato, considerati all’epoca sicuri. L’economista della Luiss spiega che da allora numerose crisi di diversa natura hanno minato la fiducia dei risparmiatori, arrivando al contesto che accompagna l’Italia almeno dal 2008, caratterizzato da un’economia che cresce sempre meno e dall’incertezza politica e istituzionale.
Le colpe delle imprese
Ecco perché tutte quelle risorse "congelate" nei depositi in banca, che non riescono ad andare incontro alle necessità di finanziamento delle imprese: "Naturalmente è un fenomeno le cui responsabilità si trovano da entrambe le parti, perché anche le imprese hanno una scarsa propensione a quotarsi in Borsa o a emettere bond, perché questo le costringerebbe a separare la proprietà dalla gestione", dice Messori. Le soluzioni? Ce ne sono tante, tutte complesse: "Occorre ragionare e individuare le formule giuste. Personalmente sono convinto che il processo di avvicinamento delle imprese e del risparmio delle famiglie possa iniziare in maniera indiretta, ad esempio attraverso un processo di cartolarizzazione delle obbligazioni delle aziende che ne distribuisca il rischio in modo più chiaro per i risparmiatori. Perché l’economia italiana è fatta da tante piccole aziende, che per arrivare da sole sul mercato dei capitali hanno ancora bisogno di tempo".