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 2020  maggio 11 Lunedì calendario

New York resterà chiusa fino a luglio

Ground Zero vuole rinascere anche stavolta, ma ce la farà? New York è stata l’epicentro della pandemia, il focolaio di gran lunga più colpito negli Stati Uniti con quasi ventimila morti. Ora vuole convincersi che il peggio è passato. Esibisce indicatori positivi: è scesa sotto i duecento ricoveri quotidiani per dieci giorni consecutivi; il sistema ospedaliero ha retto nell’emergenza tanto che la nave-ospedale militare è partita senza essere mai stata usata, e l’ospedale da campo a Central Park è stato smobilitato. Ieri a Central Park sembrava una domenica qualsiasi (mascherine a parte), con i prati brulicanti di famiglie. È scattato il conto alla rovescia per questo venerdì 15 maggio, quando diversi settori non essenziali potranno riaprire: edilizia, manifatturiero, e ogni negozio che sia attrezzato per servire la clientela all’esterno, con consegna sul marciapiedi. Ma lo stesso governatore dello Stato di New York, Andrew Cuomo, ammette che «nessuno ha un’idea di quando l’economia cittadina ripartirà». Per il sindaco Bill de Blasio «mancano mesi a una vera riapertura».
Le aziende che in teoria riempiono i criteri, saranno ancora vive quando arriva il via libera? L’ecatombe economica ha già superato quella sanitaria: 830.000 disoccupati in più, in una città di 8,5 milioni. Nelle vetrine sbarrate di negozi e ristoranti si legge “arrivederci a presto”; molti in realtà hanno già fatto bancarotta. Colonna portante dell’economia metropolitana, a Broadway l’industria dello spettacolo non ha idea di quando potrà riaprire, né se il pubblico tornerà. Licenziano una parte del personale perfino grandi musei. Un’istituzione di prestigio mondiale come la Columbia University è in preda a dubbi esistenziali: ci sarà ancora una popolazione studentesca dal mondo intero, disposta a pagare rette altissime, se buona parte dei corsi avvengono online? I tre aeroporti Jfk, Newark e LaGuardia sono deserti, paesaggi-fantasma sui quali incombe la minaccia di un’era glaciale del turismo. Airbnb, Uber, Lyft, le app della share-economy che qui avevano trovato il mercato più ricco del pianeta, sprofondano nelle perdite e licenziano.
Cuomo ha riunito una formidabile task-force di consulenti, che include Bill Gates, il celebrity-chef Danny Meyer, il padrone della squadra di basket New York Knicks e tanti altri, per progettare la rinascita. L’ex sindaco Michael Bloomberg offre la sua potenza filantropica per aiutare la città. Ma de Blasio è terribilmente in ritardo nell’assunzione di mille “detective della tracciabilità sanitaria” che aveva promesso (e la città di Wuhan ne ha novemila). I 50.000 test al giorno che sarebbero necessari, non li avremo prima di agosto. La metropoli-simbolo del capitalismo americano, con una concentrazione di ricchezza senza eguali al mondo, con la potenza finanziaria di Wall Street e la forza culturale dei suoi centri di ricerca, università, think tank, di fronte a troppe inefficienze precipita in una crisi di autostima come non ci fu neppure dopo l’11 settembre.
Il New York Times pubblica un sondaggio sulle “cose che mancano di più ai newyorchesi”, con risultati prevedibili e inquietanti: dai musei ai teatri, dalle palestre alle passeggiate-struscio sulla High Line, questo viaggio nella nostalgia è un elenco di attività che non potranno riaprire per molto tempo. Si diffonde la paura che la pandemia possa evolversi in una malattia di lungo corso: un deperimento del modello-New York. Tutto ciò che ha reso la Grande Mela più vulnerabile al virus – densità di popolazione, uso dei mezzi pubblici, turismo globale – coincide con i fattori che un tempo la rendevano attraente. Tolti quelli, perché il mondo intero dovrebbe venire qui? Il “social distancing” rende competitivo tutto il resto degli Stati Uniti: la provincia profonda ha un costo della vita inferiore, meno tasse, e in caso di recrudescenza dell’epidemia è il luogo dove rifugiarsi per restare sani. La fuga da New York, già avvenuta per i ricchi con seconde case agli Hamptons, può diventare un fenomeno di massa. L’ultima volta che questa città si spopolò – negli anni Settanta per effetto della deindustrializzazione e del crimine – ci mise vent’anni a rinascere.