Il Sole 24 Ore, 10 maggio 2020
Stroncatura del saggio storico di Philipp Blom
«Un libro che ti assorbe, stupisce e lascia ammirati per la profondità della ricerca», così la rivista di New York «Kirkus Review» ha definito il saggio del giornalista tedesco Philipp Blom Die zerrissenen Jahre:1918-1938 (letteralmente “Gli anni lacerati”), pubblicato nel 2014 e apparso lo scorso anno in italiano con il titolo La grande frattura. L’Europa tra le due guerre (1918-1930). Il titolo italiano è meno efficace di quello originale, mentre il sottotitolo confina in Europa la dimensione geografica del libro, che include invece gli Stati Uniti. Il londinese «The Telegraph» ha definito l’autore «un maestro della divulgazione storica», capace di proporre «collegamenti sempre originali». Questi giudizi, citati nella quarta di copertina, hanno indotto a leggere il libro, che supera le 550 pagine.
Tuttavia, giunto all’epilogo, il lettore deve constatare che i giudizi dei due periodici erano avventati. Avventata è anche la rivendicazione di originalità dell’autore, quando sostiene che gli storici della Grande Guerra «hanno fatto della cosiddetta “esperienza di agosto”, il tumulto e gli entusiasmi dei primi giorni di mobilitazione, una sorta di paradigma», descrivendo l’anteguerra come «un’epoca ingenua, autodistruttiva e infatuata dal fervore militare». Altrettanto avventata è l’accusa che Blom rivolge agli storici di «non ricordare anche le manifestazioni socialiste indette a Berlino, Londra e Parigi nel nome della pace», e di ignorare «le tante voci sconvolte e disperate che nella mobilitazione vedevano soltanto miseria e rovina». Simili accuse, formulate da chi afferma che i soldati erano «partiti volontari per sbarrare il passo al nemico con la sciabola in pugno», fanno supporre che Blom abbia trascurato almeno quattro decenni di storiografia sulla Grande Guerra, che proprio dei temi da lui indicati si è ampiamente occupata.
In realtà, la “profondità della ricerca” attribuita all’autore, consiste in sporadici riferimenti a qualche fonte primaria, mentre abbondano le citazioni di seconda mano. Quanto ai “collegamenti sempre originali”, si tratta in realtà di una narrazione a episodi, che va errando da un continente all’altro, con varietà di temi, certamente suggestivi, ma collegati alla rinfusa, da un paragrafo all’altro, in una sequenza cronologica che assegna un anno specifico ad ogni capitolo, ma poi si inoltra disordinatamente in anni successivi. Non mancano, nella narrazione, errori di fatto e di giudizio, talora lievi, talora gravi, che l’autore ha disseminato soprattutto nelle parti riguardanti l’Italia (salvo che non siano eventuali errori di traduzione).
Per esempio, nel capitolo 1919. Colpo di Stato con poeta, che inizia con l’occupazione di Fiume da parte di D’Annunzio, si legge che il «gesto eroico» andò «subito incontro a una piccola complicazione: la madre patria non voleva saperne di riannettere la cittadina a maggioranza italiana ceduta alla Croazia»: in realtà, Fiume non era stata mai annessa all’Italia. Si legge inoltre che Mussolini era un «vecchio amico» del poeta, mentre i due si incontrarono per la prima volta nel 1919. Subito dopo l’episodio dannunziano, segue un paragrafo su Oswald Spengler e il primo volume della sua opera Il tramonto dell’Occidente, dove si legge che «era uscito subito dopo la guerra», e poche righe dopo scrive che uscì «nell’estate del 1918», mentre fu pubblicato a Vienna nell’aprile 1918.
Altri errori si incontrano nel capitolo 1920. Il paese del contrabbando, dove, fra gli scrittori che lasciarono gli Stati Uniti con il proibizionismo, ci sono «Anaïs Nin e il suo giovane amante Henry Miller»: in verità, quando si incontrarono, Miller non era giovane, e aveva dodici anni più della sua amante. Prossima all’errore è anche l’affermazione, contenuta nel capitolo 1921. La speranza al capolinea, dove leggiamo che alla morte di Lenin, il 21 gennaio 1924, «il potere di Stalin era già pressoché illimitato», mentre il georgiano faticò altri cinque anni per renderlo tale.
Gli errori lievi e gravi aumentano nei capitoli successivi. In 1931. L’anatomia dell’amore in Italia, si legge che fin «dal 1861 (…) era stata proclamata una Repubblica italiana di ispirazione secolare»; poco dopo leggiamo che nel 1933, «fresco di elezione, Pio XII firma due importanti concordati» uno con l’Austria e l’altro con la Germania; poi, nel paragrafo successivo, è citato il commento di una ragazza che visita a Padova la Mostra della Rivoluzione fascista, che era invece allestita a Roma. Nel capitolo 1933. Pogrom dell’intelletto, leggiamo che Hannah Arendt nel 1933 fu «arrestata dalla Gestapo e sottoposta a mesi di interrogatori», e si vide «costretta ad emigrare, dapprima a Parigi, poi in Palestina»: in realtà, la studiosa ha raccontato che il poliziotto che l’arrestò era «simpatico», le comprò pacchetti di sigarette, le offrì un caffè durante l’interrogatorio, aveva una faccia «aperta e onesta» e la rilasciò dopo otto giorni; infine, nel 1941, dalla Francia la Arendt andò negli Stati Uniti, mentre in Palestina era stata solo in visita nel 1935.
Nello stesso capitolo c’è un paragrafo su Benedetto Croce, dove errori, lievi e gravi, sono a ogni riga. A cominciare dal titolo: Il dottor Croce torna a casa: Croce non era laureato, non decise «di impegnarsi in politica» a Roma, come senatore non criticò l’intervento italiano, ebbe sempre casa a Napoli. Inoltre, non è vero che Croce al «momento dell’ascesa di Mussolini, aveva sessantasette anni»: ne aveva 56; non è vero che, dopo il delitto Matteotti «si esprime più volte in Parlamento sui rischi dello strapotere fascista», perché il 26 giugno 1924 votò la fiducia a Mussolini pur reclamando la piena restaurazione della legge. Come non è vero che per venti anni i suoi libri «non vengono ristampati»: la Storia d’Italia dal 1871 al 1915, pubblicata nel 1928, ebbe tre edizioni nello stesso anno, e fu ristampata nel 1929, 1933, 1941, 1943; la Storia d’Europa ebbe due edizioni nel 1932, due nel 1938, e una nel 1942. Neppure è vero che al momento della guerra di Etiopia, «il senatore a vita rispedisce a Roma le insegne della sua carica», perché invece Croce, sia pur con animo dubbioso, donò la medaglia di senatore nella “giornata della fede”.
Infine, nell’ultimo capitolo 1938. Epilogo «Signore, non abbandonarmi», leggiamo che il «lato oscuro del fascismo, viene definitivamente allo scoperto con i roghi dei libri del 1933»: forse nei precedenti undici anni, il fascismo aveva mostrato un “lato luminoso”?
Se questa è la profondità di ricerca di un maestro di divulgazione storica, allora preghiamo il dio della Storia: «Signore, non abbandonarci ai divulgatori erranti».