Il Sole 24 Ore, 10 maggio 2020
Caterina de’ Medici, regina di bon ton
«È piccola di statura e magra, non ha lineamenti fini e ha gli occhi sporgenti come tutti i Medici», commentò l’ambasciatore veneziano a corte. Chi avrebbe immaginato che quell’insignificante tredicenne avrebbe a lungo regnato sulla Francia, prima come reggente, e poi come regina madre di ben tre re?
Per Caterina tutto fu difficile fin dall’inizio. Anche il suo unico merito, la ricchezza dei Medici, destinata alle finanze francesi, salassate dalle guerre, si sarebbe presto dissolto con la morte dello zio, il papa Clemente VII. Il marito, di cui si era innamorata a prima vista, non nascondeva la sua passione per la bellissima Diane de Poitiers, di vent’anni più anziana di lui. Ma Caterina sapeva di essere troppo debole per opporsi. Malgrado i suoi sforzi, non era inizialmente riuscita nel suo compito più importante: procreare eredi al trono. Diane, da parte sua spingeva l’amante a cercare di ingravidare la moglie, ben sapendo che, se fosse stata ripudiata, avrebbe potuto essere sostituita da una regina più attraente e quindi più pericolosa.
Solo una volta Caterina cedette alla gelosia e fece praticare un buco nel soffitto della camera in cui il marito e Diane facevano all’amore. Gli slanci cui assisté la ferirono profondamente, ribadendole il primato della favorita. Ma, come sempre, non lasciò trapelare i suoi sentimenti. L’unico suo alleato era il padre del marito, Francesco I, da sempre innamorato dell’Italia e della sua raffinatezza. Per stargli accanto nelle battute di caccia tanto amate dai nobili, inventò la cavalcata all’amazzone.
Il fiume di sangue che insidia, senza travolgerlo, il percorso di Caterina ha fatto dimenticare tutte le innovazioni da lei promosse. Fu lei a introdurre l’uso della forchetta, rendendo più facile ai nobili, intralciati dalle ampie gorgiere alla moda, portare il cibo alla bocca. Imponendo l’uso del tovagliolo e quello delle tovaglie di tessuti preziosi aveva trasformato i pasti in cerimonie di lusso. I cuochi, i pasticceri e i gelatai italiani al suo seguito avevano importato ricette destinate a rappresentare la cucina nazionale francese. Dalle crêpes al sorbetto, detto “ghiaccio all’acqua inzuccherata e profumata”, dai macaron alla zuppa di cipolle, la soupe à l’oignon, fino all’omelette.
Storici e romanzieri hanno fornito svariate versioni di Caterina de’ Medici. La più affascinante, inutile dirlo, è quella sviluppata da Dumas nella Regina Margot, la bellissima figlia di Caterina. Lì la mercantessa, come la chiamavano sprezzantemente i cortigiani, è una belva assetata di sangue che manipola il re suo figlio sfruttando la sua debolezza. Prima tenta di fare uccidere l’ammiraglio Coligny, guida dei protestanti ansiosi di prevalere sui cattolici, e poi si spinge a ordinare il massacro degli ugonotti nella tristemente nota notte di san Bartolomeo del 24 agosto 1572.
Il che contrasta con un fatto ineludibile: da sempre Caterina combatteva in favore della libertà religiosa. Pur provenendo da una penisola devastata dalle guerre civili non capiva come la gente potesse ostinarsi a scontrarsi per motivi di fede. Lei stessa «infatuata dell’astrologia e dell’esoterismo, della cabala e dell’alchimia, convinta dell’influenza che le stelle esercitano sui destini umani», sembrava più devota al neoplatonismo e ai veggenti che consultava prima di prendere ogni decisione di rilievo. Tra loro spiccava Nostradamus che le avrebbe rivelato la breve durata dei regni dei suoi tre figli e quindi il tramonto dei Valois.
Poi, è facile dipingere una vita ricca di colpi di scena come quella di Caterina de’ Medici. In questo che senza dubbio è il suo libro migliore, Alessandra Necci per investigarne le più svariate sfaccettature interroga abilmente la sua storia, i testimoni e gli interpreti, o si immedesima talmente nella regina da parlarne in prima persona. «Tutti hanno un prezzo, bisogna solo capire quale. Pochi, invece, sono gli esseri umani che hanno un valore».