Il Sole 24 Ore, 10 maggio 2020
L’India pronta ad acconciarsi per le feste
Lontano dai monsoni estivi e dai giorni bollenti che li precedono – e inquinamento atmosferico permettendo – passeggiare dalla Porta dell’India alla collina Raisina, da Est a Ovest di Nuova Delhi, è come mettersi in cammino verso il cuore dell’India. Il Rajpath lungo un po’ meno di tre chilometri, è dove il Paese celebra ogni anno il Republic Day con una coloratissima parata militare. E dove si riunisce nei momenti di dolore: il funerale del Mahatma Gandhi, di Jawaharlal Nehru, di sua figlia Indira e del figlio di lei Rajiv.
Il Rajpath ha una funzione cerimoniale ma delle cerimonie di oltre un miliardo di esseri umani. Ed è l’aorta che porta al cuore della nazione, alla collina Raisina, insignificante in altezza ma dove è esercitato il potere esecutivo e legislativo dell’India: l’ufficio del premier, dei ministri di Esteri, Interni, Finanze, Difesa ripartiti nel North e nel South Block. In mezzo, Rashtrapati Bhavan con la sua cupola di arenaria: un tempo palazzo del viceré inglese, ora del presidente della Repubblica. Alla sua sinistra, il Parlamento. Fu tutta opera di Edwin Lutyens, progettata e costruita con Herbert Baker nel 1912 per concettualizzare l’idea di una città imperiale in cima alla collina, che affermasse il “paternalismo benevolo” del potere britannico. Per questo furono scelti il rosso e il bianco dell’arenaria di Dholpur, nel Rajastan, e costruita la cupola del palazzo del viceré che richiama la Grande Stupa di Sanchi, nel Madhya Pradesh: una sintesi indo-occidentale, «la nostra tradizione e la loro modernità», spiega la collega Reshmi Dasgupta di «Economic Times».
Con una presunzione cinese che non appartiene al bagaglio culturale degli indiani, quasi tutto questo sarà ridisegnato, rivisto, ridistribuito, ristrutturato o costruito ex novo. E in un tempo troppo breve per essere credibile: entro due anni, per il 75° dell’indipendenza, alla mezzanotte di Ferragosto del 2022. In qualche modo il Covid-19 offre a Narendra Modi una più che valida scusa per rinviare tutto a un tempo ora impossibile da determinare: la realtà è più potente dell’ubris. Anche il secondo edificio triangolare del Parlamento, accanto a quello circolare costruito da Lutyens, sarà inaugurato ben oltre il 2026. Perché triangolare? Perché, spiegano, è una figura celebrata in tutte le geometrie sacre e come dice il primo ministro Modi, il Parlamento è il tempio della democrazia. Sebbene la democrazia indiana sia fondata su una Costituzione laica e quella non scritta di Modi sul primato della maggioranza hindu.
Si dice sia il premier l’anima di questo grand design non solo estetico, dei 110 acri di puro potere nel centro amministrativo di Delhi. Il progetto è di Hcp Design, importante studio di architettura di Ahmedabad, la città più grande del Gujarat del quale Modi è stato chief minister (premier dello stato) per quasi 13 anni. «L’architettura di Lutyens era spettacolare. Ma le costruzioni post-indipendenza non avevano una visione ispiratrice indiana», spiega Bimal Patel, architetto-capo di Hcp. Lungo il Rajpath saranno costruiti 10 nuovi edifici che ospiteranno 70mila funzionari: saranno il Segretariato, la prima linea del License Raj, l’impero della burocrazia ripetutamente riformato e ridotto dall’inizio delle riforme economiche del 1991. Ma ancora pericolosamente armato di carta bollata e timbri.
Rashtrapati Bhavan resta il palazzo del presidente ma ai suoi lati sulla collina Raisina, i ministeri saranno trasferiti. Al loro posto nascerà il grande museo della storia dell’India: dalle origini al 1857, l’anno della rivolta contro la Compagnia inglese delle Indie, nel South Block; da quella prima lotta per l’indipendenza a oggi, in quello Nord. Resterà anche l’ufficio del premier accanto al quale sarà costruita la nuova residenza, ora in un luogo più lontano, per evitare il traffico di Delhi. Il parlamento triangolare prevede posti fino a 1.350 deputati. Al momento sono 545 ma probabilmente col tempo saranno aumentati «per mantenere lo spirito della rappresentanza proporzionale» di una popolazione di un miliardo e 300 milioni di cittadini che in un ventennio arriveranno a 1,6 miliardi.
Qual è dunque la visione dell’India politica del XXI secolo che deve rappresentare l’architetto Patel? Non è un compito facile perché è ancor più difficile da definire.
L’India è un caso straordinario e unico. Quando conquistò l’indipendenza nel 1947, per i tassi di povertà, le caste, le differenze religiose ed etniche, avrebbe dovuto diventare un Paese autoritario. Jawaharlal Nehru, il Mahatma Gandhi e i costituzionalisti scelsero la strada opposta. Secondo i padri fondatori, scrive Madhav Khosla che insegna alla Columbia Law School di New York, «era possibile creare cittadini moderni che potessero auto-governarsi e impegnarsi in una forma egualitaria di sistema, praticando la democrazia: erano i riti dell’autogoverno che li avrebbero portati a realizzare l’autogoverno» (India’s Founding Moment: The Constitution of a Most Surprising Democracy, Harvard University Press, 2019). La Corea del Sud, per esempio, è passata da un regime militare alla democrazia nel 1987, alla fine di un lungo cammino di crescita economica: l’India è partita dalla democrazia. «Per gli indiani», insiste Khosla, «la Costituzione non doveva essere solo un libro delle regole, come in tanti Paesi, ma anche un libro di testo».
La collina Raisina e il Rajpath potranno anche mutare le destinazioni urbanistiche di Delhi ma il profilo politico dell’India è questo: a dispetto delle ultime leggi di Modi, del suo governo nazional-hinduista e del ministro degli Interni Amit Shah che vede traditori e ghuspetiye (musulmani infiltrati) in ogni segno di dissenso. Contro il Citizenship Amendment Act e il suo “sinistro gemello” National Register of Citizens è in corso una mobilitazione straordinaria che il lockdown ha solo sopito. Le due leggi attribuiscono il diritto di cittadinanza su basi religiose. Ma la Costituzione scritta dai fondatori, stabilisce che le sue strutture fondamentali non sono emendabili: l’India non può diventare una monarchia né rinunciare alla laicità dello Stato. È per questo che sul Raisina e lungo il Rajpath non esistono edifici religiosi, né l’architetto Patel prevede di costruirne.