Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2020  maggio 10 Domenica calendario

Riesplode la mania per i puzzle

Cartolerie, colorifici e – da quando sono aperti, cioè da circa due settimane, a seconda delle regioni – boutique di abbigliamento per bambini e librerie. Tra i best seller in tutti questi negozi ci sono i puzzle. Ma il boom vero e proprio c’è stato online: primo, perché in molti Paesi anche i primi due tipi di esercizi commerciali che abbiamo citato, cartolerie e colorifici, sono stati chiusi insieme a tutti gli altri. Secondo, perché in tantissimi hanno preso alla lettera l’indicazione di non uscire di casa se non per esigenze mediche o fare la spesa. Last but not least, perché l’offerta su internet era, soprattutto all’inizio, infinitamente più ampia che in qualsiasi spazio fisico. Poi i puzzle hanno iniziato a scarseggiare: la domanda per questo passatempo dal sapore antico ha superato di gran lunga l’offerta. Ma i produttori, molti dei quali alle prese, come tutti, con cali di vendite generalizzate, hanno reagito rapidamente, rimpinguando magazzini e scorte dei siti specializzati in giochi.
Intergenerazionale
Gli over 30 hanno sicuramente familiarità con i puzzle: o li hanno usati o li hanno visti in famiglia. Lo stesso vale per i bambini di età prescolare, perché negli asili i puzzle con pochi pezzi (ma molto grandi) sono tra i giochi più diffusi e considerati più utili allo sviluppo cognitivo, oltre che allo svago. Le generazioni di mezzo quasi certamente con i puzzle hanno giocato, ma in una delle loro varianti elettroniche. I videogame a base di puzzle non sono però tra i best seller del settore. E poi: vuoi mettere il piacere di risolvere il rompicapo dal vero, toccando i pezzi e sviluppando la propria tecnica per portare a termine l’operazione? Non solo: a differenza di qualsiasi opera d’arte o d’artigianato (in fondo questo è il puzzle, specie quando ha mille o più pezzi) realizzata in modo digitale, quella fatta in “carta e ossa” può essere conservata, persino incorniciata. Perché molti dei puzzle più grandi riproducono immagini di quadri o luoghi naturali famosi. O ancora, ci restituiscono rappresentazioni più o meno realistiche di panorami fortemente evocativi, specie in questo periodo di lockdown, come le mappe del mondo o del cielo. 
Per chi volesse fare un po’ di allenamento online, prima di cimentarsi con l’esperienza fisica, esistono comunque molti siti che offrono puzzle da scaricare gratuitamente, come www.jigsawplanet.com. In tempi normali un puzzle può richiedere settimane per essere completato. Ma con il lockdown, se ci si appassiona o si riscopre una passione sopita, può essere finito magari anche solo in un giorno. Da qui il boom di domanda: non è nello spirito di chi fa i puzzle scomporlo dopo averlo finito per ricominciare. Devono passare mesi o anni (o può non accadere proprio, se si decide di farne un quadro e appenderlo). Meglio affrontare un’altra sfida, più impegnativa. Abbiamo finito un Monet da 800 pezzi? Passiamo a un Escher da mille, ancora più difficile perché i colori aiutano a distinguere i pezzi, mentre le opere del grande artista olandese sono quasi tutte nello spettro dei grigi, impercettibilmente diversi se non a puzzle completato. Finito anche l’Escher si può passare a un 2mila pezzi, tondo per di più (i rettangolari sono leggermente più facili), che rappresenti uno dei due emisferi terresti. E poi un 3mila che immortali una parte del cielo sopra di noi.
L’origine del nome 
Per un italiano il puzzle è... il puzzle: nel senso che tutti intendiamo il gioco da tavola fatto di tanti pezzi da ricomporre. Ma la parola è inglese e significa, più in generale, problema, enigma. Quindi occorre specificare: il crossward puzzle è il nostro cruciverba, il jigsaw puzzle (da qui il nome del sito che abbiamo citato) è il gioco di cui stiamo parlando. Ma quando e da chi fu inventato? Quasi certamente dal cartografo e incisore londinese John Spilsbury (1739–1769). Non per giocarci però. O meglio, per imparare giocando: i puzzle venivano utilizzati per insegnare la geografia ai bambini. Gli artigiani che realizzarono i primi modelli, come Spilsbury, erano produttori di mappe che le dipingevano o incollavano su tavole di legno. Tavole che venivano poi tagliate in piccole tessere da ricomporre. Per il suo primo puzzle, Spilsbury dipinse su un foglio di legno una mappa – non troppo dettagliata – del mondo, tagliando i confini di ogni nazione con un seghetto. I puzzle si diffusero nel diciottesimo secolo come giochi pedagogico-istruttivi e in realtà non hanno mai smesso di esserlo. 
Da gioco per pochi a hobby 
I primi puzzle, che oltre alla geografia politica illustravano, ad esempio, episodi della Bibbia o gesta di re e cavalieri, erano molto costosi anche perché realizzati con legname pregiato, come cedro e mogano. A partire dalla fine del diciottesimo secolo si passò ad altri materiali e tecniche di taglio non artigianale e si moltiplicarono le fonti di ispirazione. Un aspetto pedagogico prezioso però è rimasto e riguarda i bambini affetti da alcuni tipi di autismo. Lo spettro di questa condizione (non è corretto chiamarla malattia) è molto ampio e non si è ancora trovato il modo per entrare, davvero, in contatto con persone autistiche. Partendo però dalla loro straordinaria capacità di risolvere enigmi (come faceva il protagonista del film Codice Mercury), sono stati pensati puzzle ad hoc per bambini affetti da autismo, nei colori (vivaci) che preferiscono e si è osservato come il lavorare alla costruzione dei puzzle li rilassi e li renda, apparentemente, più sereni. 
I puzzle e la tecnologia
Della possibilità di fare puzzle online abbiamo detto. Ma ci sono altri modi in cui la tecnologia ha cambiato anche questi giochi. La tedesca Ravensburger, tra i più grandi produttori al modo di giochi da tavolo, offre ad esempio servizi di personalizzazione: mandando una foto, un’immagine, un disegno, Ravensburger può ricavarne un puzzle, con un numero di pezzi variabile da 2 a 2mila. Poi c’è il servizio Mapuzzle (crasi di mappa e puzzle): mandando una mappa di un luogo che ci è caro, Ravensburger lo stampa sul cartone che usa per ogni suo prodotto, con numero di pezzi a scelta, da 100 a 1.500 se di dimensione normale, fino a 14 per quelli xxl (20x16 cm circa a pezzo). In questo caso si può anche personalizzare la scatola in cui viene spedito il puzzle con un titolo scelto da chi ha voluto quella mappa. Perché non regalarsi un ricordo, ad esempio, del proprio quartiere, fissando per sempre il ricordo dei (brevi) tragitti che ci era concesso fare in questo periodo? O ancora, perché non regalarsi la mappa dei luoghi che abbiamo sognato di (ri)visitare durante il lockdown? Ogni scusa è buona, a qualsiasi età, per cimentarsi con un puzzle.