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 2020  maggio 10 Domenica calendario

A tavola con Vito Tanzi

«La recessione internazionale attivata dal coronavirus ha effetti profondi. Ma, a colpire, è soprattutto la rapidità, quasi l’istantaneità, delle sue conseguenze. Per questa ragione, dobbiamo rivisitare alcune idee sul mercato, sulla concorrenza perfetta e sulle politiche che la accompagnano. Il mercato rimane un valore. E, proprio per questo, dobbiamo riflettere sui suoi funzionamenti in situazioni distinte. Per evitare che oggi, di fronte a questa crisi, non si pensi che tutto si risolva con una nuova ondata di spesa pubblica e con l’automatico intervento dello Stato nel capitale delle imprese. Bisogna essere razionali e lucidi, empirici e non ideologici».
Vito Tanzi, classe 1935, è stato dal 1981 al 2000 direttore del dipartimento affari fiscali del Fondo Monetario Internazionale, una personalità significativa nella Washington delle istituzioni economiche e della politica: «Ho lavorato con economisti e policymakers influenti, fin dai tempi della mia tesi di dottorato a Harvard, scritta e discussa nel 1967 sotto la supervisione di Otto Eckstein e di Richard Musgrave, primo italiano a ottenere il PhD in economia in quella università. Ho conosciuto e mi sono misurato con Milton Friedman, James Buchanan e altri Nobel. Ma, al di là del fascino dei singoli, ho sempre condiviso gli obiettivi e la missione del Fondo Monetario Internazionale. Anche se ho talvolta criticato scelte specifiche della mia istituzione: i prestiti alla Russia nel 1998 e all’Argentina nel 2000 e le politiche espansive ispirate da Olivier Blanchard, quando era direttore del dipartimento di ricerca». 
Questa “A tavola con” ai tempi del coronavirus si svolge via Skype. Io sono a casa ad Arcore, mentre lui è nella sua abitazione di Bethesda, a un chilometro dalla linea che separa Washington D.C. dal Maryland, a pochi chilometri dalla Casa Bianca: «Questa è la mia casa da cinquant’anni. La comprai quando, prima di entrare al Fondo, ero professore e preside del dipartimento di economia della American University, che è qui vicino».
L’immagine di Vito ha sullo sfondo una foto della campagna della Basilicata: «Io sono nato a Mola di Bari da una famiglia che, per parte di madre, aveva un cantiere nautico e che, per parte di padre, aveva una piccola impresa di costruzioni. Abbiamo conservato la spaziosa casa di famiglia in centro a Mola. I miei genitori mi fecero diplomare al liceo nautico e non, come era comune allora, al liceo classico. Mi iscrissi a economia all’università di Bari ma, nell’estate del 1956, fra il primo e il secondo anno, i miei decisero di emigrare negli Stati Uniti. Avevamo alcune proprietà, ma il secondo dopoguerra nel Sud non era facile. A Washington, mio padre divenne socio di una piccola impresa di costruzioni e io andai alla George Washington University. La foto alle mie spalle è stata scattata tre anni fa durante un viaggio nell’interno del Sud: da Mola, attraverso la Basilicata, arrivammo fino a Paestum, in Campania, un posto meraviglioso».
Questa “A tavola con” virtuale ha un clima ospitale. A fianco di Vito è seduta Maria, la moglie conosciuta al Fondo Monetario Internazionale, dove lei lavorava come statistica. Maria ha simbolicamente preparato un terzo posto a tavola, come se io fossi lì con loro. Prima di iniziare a mangiare, Vito completa il suo pensiero: «Il concetto teorico di efficienza economica prevede che i profitti delle imprese tendano a zero quando la concorrenza funziona bene. In un equilibrio perfetto, le scorte non devono esistere e la produzione dei beni deve avvenire just in time. La questione è che quello che produce efficienza in situazioni di normalità, può produrre problemi in situazioni anormali. Per questa ragione bisognerebbe ripensare il concetto generale di efficienza economica: non solo sul breve periodo, e per situazioni normali, ma anche sul lungo periodo, e per situazioni non normali».
Maria, originaria delle Filippine, porta in tavola della pasta alla Norma: «Adoro la cucina italiana, in particolare del Sud», dice lei. Io, invece, replico con i casoncelli al burro fuso, la pasta ripiena della Bergamasca. «La rivisitazione del concetto di concorrenza perfetta – continua Vito – fa il paio con la critica serrata dell’azione dei governi. Le politiche sono condizionate dall’incalzare delle elezioni. Gli interessi di gruppi specifici di elettori prevalgono sull’interesse generale. La logica di breve periodo ha la meglio sulla logica di lungo periodo. Il mondo occidentale si è costruito così anche perché, per circa un secolo, non vi sono stati shock come il Covid-19 o la Grande Depressione del 1929. Bisogna risalire all’epidemia di influenza spagnola fra il 1918 e il 1920, per trovare qualcosa di simile. Le politiche dei governi vanno tutte rimodulate. Il lungo periodo deve diventare una bussola più importante».
Il vino, per Vito e Maria, è un Primitivo, in osservanza al loro amore per la Puglia. Il mio è un Dolcetto, un classico piemontese. 
Tanzi sta correggendo le bozze di due libri: The Economics of Government: Complexity and The Practice of Public Finance (Oxford University Press) e Advanced Introduction to Public Finance (Edward Elgar Publishing), in uscita in autunno. «Con il tempo – nota – mi sono convinto che spesso il problema non è la quantità di spesa pubblica: i problemi sono la qualità della spesa pubblica e la strutturazione dei rapporti fra economia e società. Gli Stati con una spesa pubblica efficiente si occupano principalmente dei rischi finanziari generalizzati, predisponendo soluzioni che valgono per tutti: come la sanità, cioè il rischio di ammalarsi, la disoccupazione, cioè il rischio di perdere il lavoro, la certezza della vecchiaia, con il bisogno di avere una pensione. Le cose funzionano quando queste politiche pubbliche non sono segmentate e non inseguono l’interesse di questo o quel gruppo sociale, di questa o quella lobby».
Al di là della quantità della spesa pubblica, influiscono l’intrecciarsi fra politica ed economia e la qualità della classe dirigente pubblica.
Proprio questi due elementi fanno pensare con inquietudine, oggi, all’ipotesi che le sorti dell’Italia siano affidate a una fantomatica nuova Iri. Tanzi, che di secondo mangia un pollo con patate bollite e fagiolini (io, invece, ho dello scamone con melanzane), ha pubblicato Italica. L’unificazione difficile fra ideali e realtà (Schena Editore, 2018) e Dal miracolo economico al declino? Una diagnosi intima (Jorge Pinto Books, 2015). Quest’ultimo racconta i due anni trascorsi nel secondo governo Berlusconi, fra 2001 e 2003, da sottosegretario all’economia e alle finanze.
«Quaranta anni fa – ricorda – venni in missione in Italia con il Fondo Monetario. Il Comune di Napoli era fallito. L’incrocio fra pubblico e privato aveva assunto aspetti assurdi. Ricordo una signora il cui lavoro, in Comune, era quello di schiacciare il pulsante dell’ascensore. Tutti, ormai, chiamavano l’ascensore automatico da soli. La signora trascorreva la giornata a fare la maglia con l’uncinetto. Non poteva essere né licenziata né messa a fare altro. I sindacati e le regole lo impedivano».
Tanzi non ha l’atteggiamento narcisistico-moralista di molti emigrati all’estero che, tornati in Italia dopo una vita di successi, fanno cadere dall’alto le ricette giuste. 
«In fondo sono stato contento – racconta – di avere fatto parte del secondo governo Berlusconi. Ho potuto vedere, dall’interno di un governo, le politiche che studiavo e che aiutavo a costruire dall’esterno, come dirigente del Fondo Monetario. Certo, non è che io abbia dato tutto questo contributo», sorride con disincanto. E, poi, con naturalezza dice: «Sai, non avevo deleghe. Per questa ragione i funzionari pubblici mi scavalcavano sistematicamente parlando con il ministro dell’Economia Giulio Tremonti. Quando andavo a Bruxelles o in parlamento, dove rappresentavo il governo nella commissione bilancio presieduta da Giancarlo Giorgetti, i funzionari del ministero mi passavano un bigliettino con sopra scritto quello che ritenevano che io dovessi dire. Ma è stato un periodo interessante. Ricevevo inviti mondani a ricevimenti in palazzi nobiliari con terrazze meravigliose su Roma. In quei due anni ho capito che il vero potere, in Italia, non è della politica o dei politici. È dei mandarini della pubblica amministrazione: i capi di gabinetto, i direttori generali, i ragionieri generali dello stato, i magistrati della Corte dei Conti».
Maria, come dolce, porta in tavola una sfogliatella con crema di limone da dividere in due: «Le prepara una pasticceria italiana vicina alla Casa Bianca. Oggi ne ho trovata solo una. Costa quattro volte più che in Italia», spiega lei, mentre io mangio fragole con zucchero e limone. «La sfogliatella è sempre uguale a se stessa ed è sempre buona», dice lui. 
Fra il dolce e l’amaro, il pensiero va alle sorti prossime venture del Paese, chissà se sempre uguale a se stesso, che Tanzi legge anche attraverso il suo paese, Mola di Bari, che ama molto: «Ogni anno torniamo a Mola in settembre e, spesso, invitiamo amici stranieri a cui facciamo conoscere la Puglia. Quest’anno vedremo se, con il coronavirus, sarà possibile farlo. A un certo punto, un nostro inquilino smise di pagare il fitto di un nostro appartamento. Ci vollero anni e migliaia di euro di spese in avvocati per rientrarne in possesso. Ci è capitato lo stesso infortunio con una abitazione a Washington. Per caso l’inquilino era un membro della famiglia Somoza, gli ex dittatori del Nicaragua. A Washington, in un mese e a costo quasi zero, siamo tornati ad avere il nostro appartamento. Solo una rivoluzione, che deve cominciare dalla giustizia, può cambiare il Sud e tutta l’Italia. Deve essere una rivoluzione vera, non finta. Il Gattopardo finora ha vinto».