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 2020  maggio 10 Domenica calendario

Pmi, ondata d’insolvenze verso le banche

Trasporti. Ristorazione. Turismo. Ma anche automotive, società petrolifere, costruzioni. Sono molti i settori merceologici che fanno i conti con l’impatto prolungato del lockdown che da fine febbraio ha bloccato l’Italia. Finite nella morsa di fatturati azzerati e costi fissi incomprimibili, molte aziende rischiano il collasso, senza il supporto della liquidità in arrivo da governo e banche. E ciò è destinato inevitabilmente a riflettersi sui bilanci delle aziende di credito.
Impatto al 10 per cento
In quale misura ciò accadrà è ancora presto per dirlo. Secondo le stime di una banca sistemica come UniCredit, però, circa il 10% del portafoglio crediti complessivo potrebbe essere impattato in maniera più dura dal Covid-19. Per Banco Bpm questa quota si aggira attorno all’8 per cento. Se si proiettassero questi dati indicativi sul complesso dei crediti erogati dalle banche italiane (circa 1.400 miliardi), significherebbe che circa 140 miliardi di prestiti potrebbero essere considerati ad elevato impatto potenziale negativo. 
Numeri impressionanti
Non è un caso del resto (si veda altro articolo in pagina) che le principali banche abbiano deciso di aumentare da subito, già nella prima trimestrale appena presentata, gli accantonamenti su tutti gli impieghi, anche in bonis, per anticipare l’impatto dello scenario in deterioramento. Molte di esse hanno anche annunciato che sono pronte a riaggiornare i modelli non appena il contesto economico si sarà chiarito.
Di certo c’è che una nuova voragine si sta per aprire proprio ora quando, per ironia del destino, molti istituti si stavano rialzando con fatica dalle macerie lasciate dalla crisi generata dal crack Lehman. Tra il 2008 e il 2015, secondo i dati Pwc, i crediti deteriorati italiani sono cresciuti al tasso aggregato annuo del 22%, portando il fardello complessivo dei deteriorati da 85 al dato di 341 miliardi. 
Dal picco di cinque anni fa, tuttavia, le banche hanno progressivamente smaltito i non performing – con costose vendite e recuperi interni – arrivando a dimezzare la montagna di Npe. Secondo i dati Abi, a febbraio le sofferenze nette (cioè depurate da svalutazioni e accantonamenti) erano pari a 25,9 miliardi di euro, contro il picco di 88,8 miliardi di novembre 2015: un taglio netto del 70,8%.
Banche pulite e rafforzate
Più pulite e, seppur con differenti sfumature, rafforzate le banche italiane si preparano dunque a una nuova ondata di crediti deteriorati, che presumibilmente dispiegherà tutto il suo effetto nel corso degli anni, in particolare a partire dal 2021, quando le moratorie termineranno. L’aspetto positivo, tuttavia, è che la capacità di resistere agli shock è superiore a quella degli anni scorsi. «Non ci sono problemi di solvibilità delle banche che pongono minacce sistemiche alla stabilità del sistema bancario della zona euro», hanno scritto nei giorni scorsi il numero uno della Vigilanza Bce e il membro del board Bce Yves Mersch. 
Di certo a preoccupare è il tema degli Utp e più in generale quello delle Npe, le Non performing exposures del sistema bancario. Sempre citando l’approfondito studio di PwC, quel che vi si rappresenta è l’andamento del mercato italiano delle sofferenze dal 2008 in avanti. E cioè dallo scoppio del caso Lehman Brothers sino al 2019. Aggrega tre dati significativi: lo “scaduto”, gli Utp(unlikely to pay) e i crediti deteriorati (i bad loans). La tendenza è inequivocabile. 
Da Lehman al Covid-19
Tra l’ora zero (la bancarotta di Lehman) e la fine del 2015, le sofferenze complessive sono cresciute di 236 miliardi con una progressione impressionante. Nel 2010 erano a quota 157 miliardi, nel 2012 erano già a 237 per passare a 283 nel 2013. Il picco, appunto, lo si è raggiunto nel nel 2015 con la già citata cifra record di 341 miliardi. Di lì la discesa. Graduale ma continua che li ha portati a 264 miliardi nel 2017 a 180 nel 2018. Se ne potrebbe dedurre che il pieno impatto di una crisi lo si avverta a sette anni dagli eventi negativi che l’hanno provocata. 
Il timore però è che questa volta i tempi di reazione alla crisi pandemica che ha colpito tutto il mondo e, in particolare l’Italia, possano dispiegarsi con velocità assai maggiore. Anche perché, se nel caso della crisi del 2008 questa era prevalentemente stata di natura finanziaria, in questa fase ha colpito il mondo produttivo e dell’economia reale. Di qui il fondato sospetto che oltre alle moratorie del credito già previste e messe in atto nel tempo dell’emergenza, servano altre misure di natura strategica.