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 2020  maggio 10 Domenica calendario

In morte di Mokoto Fujishiro Huthwaite

C’erano i Monuments Men, resi celebri da un libro e un film per la loro missione molto speciale: salvare i tesori dell’arte e della cultura nella seconda guerra mondiale. E c’erano le Monuments Women, 27 donne sui 345 appartenenti a quella task force. L’ultima se l’è portata via il coronavirus, all’età di 92 anni. Motoko Fujishiro Huthwaite è morta negli Stati Uniti, suo paese natale e anche adottivo, ma era di origine giapponese. Perciò, a differenza dei Monuments Men del film con George Clooney, impegnati sul teatro di guerra europeo, lei agì in Giappone. Era tornata nella patria dei genitori dopo l’attacco nipponico a Pearl Harbor che aveva trascinato gli Stati Uniti nella guerra del Pacifico. Suo padre, rimasto a lavorare a Boston come dentista, aveva fatto la fine di molti nippo-americani: sospettato di essere una spia del nemico, arrestato dall’Fbi, deportato in un campo di detenzione; si era poi ricongiunto con i familiari a Tokyo e là avrebbero vissuto insieme la “pioggia di fuoco” sulla capitale nipponica, poi i bombardamenti atomici su Hiroshima e Nagasaki. Appena finita la guerra, la dattilografa Motoko Fujishiro fu avvicinata da un amico di famiglia e consulente dei Monuments Men, Langdon Warner: secondo la leggenda fu colui che ispirò il personaggio cinematografico di Indiana Jones. Così la ragazza giapponese divenne l’assistente personale per l’Asia del capo della task force, il comandante George Stout. L’ideatore originario dei Monuments Men (che nell’omonimo film è impersonato da Clooney sotto un nome diverso: Frank Stokes) era un autorevole studioso di storia dell’arte, curatore del Museo di Harvard, esperto di tecniche del restauro. Fu lui a convertire il presidente Franklin Delano Roosevelt e lo stato maggiore americano all’importanza della sua missione. Che era duplice. Anzitutto, finché duravano i combattimenti bisognava fare il possibile per preservare i tesori archeologici, architettonici e artistici. Dalle zone bersagliate dai bombardamenti lui voleva isolare e salvare un patrimonio dell’umanità. La seconda parte della missione, da prolungare anche dopo la fine del conflitto, era il recupero dei capolavori trafugati. Il traffico di opere d’arte rubate dai nazisti era enorme. A dare l’esempio era stato Adolf Hitler in persona, che aveva accumulato una collezione personale di capolavori destinati al suo museo privato a Linz, in Austria. Il gerarca nazista Herman Goering aveva rubato così tante opere d’arte da riempire colonne di vagoni ferroviari. Alla fine della guerra, un altro pericolo da evitare fu che alle razzie dei nazisti seguissero quelle dell’Armata Rossa sovietica, arrivata fino a Berlino. L’elenco di opere salvate dai Monuments Men, e restituite ai musei d’origine, includeva capolavori del Rinascimento italiano come una Madonna del Michelangelo trafugata da una pinacoteca di Bruges. Anche in Asia c’era stata una razzìa simile, da parte dei giapponesi quando avevano occupato gran parte della Cina e dell’Indocina. La missione asiatica dei Monuments Men (and Women) era più complicata: l’arte esotica era meno nota e meno studiata nelle università occidentali; c’erano le barriere linguistiche. Perciò il lavoro di Motoko Fujishiro fu prezioso: non solo dattilografa e segretaria, ma traduttrice, un ponte fra due mondi.
Alla fine della guerra la “signora salva-monumenti” fu messa di fronte a un dilemma: conservare la nazionalità giapponese, o recuperare quella americana a cui aveva diritto. Scelse gli Stati Uniti per rigetto verso il maschilismo della società nipponica. Il suo secondo cognome era quello del marito, William Ernest Cecil Huthwaite, ufficiale della US Navy durante la seconda guerra mondiale. In America lei si dedicò alla sua passione, l’insegnamento. La signora era un animo ribelle e una volta andata in pensione divenne parte di un movimento pacifista noto come le Raging Grannies, le nonne arrabbiate. In vista dei cortei o dei sit-in, lei componeva canzoni di protesta adattando brani musicali celebri. Nel 2015 le venne conferita una delle più alte onorificenze degli Stati, la Congressional Gold Medal. A quella cerimonia erano rimasti in tre. Oggi le sopravvive uno solo, l’ultimo dei Monuments Men, Richard Barancik: in guerra era stato di base a Salisburgo, con il compito di recuperare l’arte trafugata in Austria.