La Stampa, 10 maggio 2020
Strage di rinoceronti nelle riserve africane
Tra gli effetti della pandemia di Coronavirus c’è anche l’aumento del bracconaggio nelle riserve naturali d’Africa. La mancanza di turismo, la riduzione dei guardia-parco e il crescente disagio economico della popolazione stanno spingendo organizzazioni criminali e cacciatori locali a uccidere gli animali per venderli sul mercato illegale o per sfamare intere famiglie. Nell’ultimo mese, tra Sudafrica, Namibia e Botswana, sono stati ammazzati 18 rinoceronti, il cui corno viene venduto a 50mila euro al chilo nei mercati di frodo asiatici. In attesa di capire quando lo spazio aereo verrà riaperto e se i turisti torneranno nei safari africani, il rischio è che, solo in Sudafrica, nel 2020, il numero di rinoceronti uccisi torni a superare le mille unità, cosa che non si verificava dal 2017.
Le difficoltà di contrabbando dovute alla chiusura del commercio mondiale non sembrano aver intimorito i bracconieri che iniziano a stoccare la merce per farsi trovare pronti al momento della riapertura, quando è prevedibile che la domanda subirà un’impennata. Le zone più colpite sono le riserve private dell’Africa australe, quelle zone cuscinetto tra i centri urbani ed i parchi nazionali che, a causa dell’azzeramento dei turisti, sono state costrette a ridurre il numero dei rangers. «Da oltre un mese stiamo vivendo un’emergenza continua con chiamate di soccorso quotidiane per salvare rinoceronti a cui è stato tagliato il corno» - conferma Nico Jacobs, pilota di Rhino 911, una non profit che garantisce l’elisoccorso ai rinoceronti vittime dei bracconieri in Sudafrica.
Diversa la situazione nei Parchi Nazionali, come il Kruger in Sudafrica, dove la sorveglianza è rimasta alta, dato che, i guardia-parco sono funzionari pubblici. «La pandemia sta dimostrando ancora una volta come il turismo sia una leva fondamentale per la conservazione degli animali in questa regione – commenta Davide Bomben, Istruttore Capo della Poaching Prevention Academy e Presidente dell’Associazione Italiana esperti d’Africa, al telefono con La Stampa. «Non esiste una soluzione univoca al conflitto uomo-animale – spiega Bomben, rangers attivo da 19 anni nella lotta al bracconaggio in Africa australe - bisogna far passare il concetto alla popolazione locale che il valore di un animale è superiore da vivo piuttosto che da morto».
In Sudafrica, nell’area circostante il Parco Nazionale del Kruger, dopo 5 settimane di lockdown per contenere la diffusione del Coronavirus, si stima che 2 milioni di persone sono malnutrite. Molte delle 739mila persone impiegate nel settore turistico sudafricano, il 4,5% della forza lavoro complessiva, vivono in questa regione e con la chiusura dei safari sono rimaste senza lavoro. Al momento solo 25mila dipendenti hanno ricevuto sussidi dal Governo e gli incentivi a lodge ed alberghi non arriva a 3mila euro. «È aumentato il bracconaggio di sussistenza soprattutto nei pressi delle zone abitate – spiega Davide Bomben, Presidente dell’Associazione Italiana esperti d’Africa – la popolazione colloca trappole nelle riserve per cacciare animali come impala, facoceri e kudu la cui carne viene, poi, mangiata o venduta».
Numerosi scienziati hanno evidenziato nelle ultime settimane il rischio di nuove pandemie dovute alla maggiore contaminazione uomo-animali selvatici. Va in questa direzione la decisione di alcuni Stati africani, come il Malawi, di bandire la vendita di carne selvatica per evitare la diffusione di nuove epidemie.