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 2020  maggio 10 Domenica calendario

Ritrovata una novella interventista di Pirandello

Fissato ormai trent’anni fa nei Meridiani curati da Mario Costanzo, il corpus delle novelle di Luigi Pirandello non sembrava destinato ad ampliamenti, e le accessioni posteriori si erano infatti limitate, sino ad ora, a redazioni alternative di testi già noti. La scoperta di una novella autonoma e del tutto sconosciuta alla critica, pubblicata sull’«Idea Nazionale» il 28 febbraio del 1917 e mai raccolta in volume, costituisce pertanto un fatto di rilievo eccezionale, che arricchisce (e complica) la conoscenza del più celebre scrittore italiano del Novecento. 
Eccezionale è anche la natura di aperta propaganda di Alla salute! (questo il titolo della novella) . Un tratto non comune a Pirandello, che anzi, in diverse occasioni, non aveva risparmiato critiche, non tanto alla necessità della partecipazione italiana alla Grande guerra (da lui vista come compimento del processo risorgimentale), quanto alle macroscopiche contraddizioni interne al mondo occidentale che il conflitto andava via via portando alla luce (si legga in proposito la novella Un «goj»). 
Dove sia l’aspetto propagandistico è presto detto: il 5 febbraio era iniziata l’emissione del quarto Prestito nazionale, grazie al quale un’Italia militarmente del tutto impreparata (ma su questo, ovviamente, la retorica nazionalista dell’epoca preferiva sorvolare) avrebbe dovuto far fronte alle ingenti spese del terzo anno di guerra. Alla relativa, imponente campagna promozionale, che fece appello ai cuori e alle menti, mobilitando brillanti economisti come Luigi Einaudi ma anche alcuni tra i maggiori illustratori dell’epoca, Pirandello partecipò con questo racconto, steso a caldo, per il giornale fondato sei anni prima da Enrico Corradini: quella stessa «Idea Nazionale», che, dopo aver rumorosamente invocato, nel 1914, l’intervento italiano, chiedeva ora la massima partecipazione popolare al Prestito.
Nella novella, piccoli e grandi risparmiatori si accalcano davanti agli sportelli bancari per incassare le cedole dei vecchi prestiti ma anche per sottoscrivere il nuovo: è a quest’ultimo che si fa riferimento nel finale, con implicito invito al lettore a fare altrettanto. Ma c’è di più. Pirandello inscena infatti uno scontro morale tra il patriottismo autentico di chi sacrifica i propri magri risparmi per il bene della patria e l’avidità dei grandi rentiers, attratti, più che dalla prospettiva della gloriosa vittoria, dai vantaggiosissimi tassi d’interesse promessi (il 5 per cento netto del Terzo Prestito del 1916 e il 5,55 per cento del Quarto). 
È, questo, il vecchio motivo, caro anche alla destra corradiniana, della critica alla borghesia improduttiva e parassitaria, alla vecchia classe media ottocentesca che doveva essere spazzata via (insieme allo stantio e traballante edificio statale costruito da Giovanni Giolitti) per dar vita a una nuova unità nazionale. Da conquistare, secondo Enrico Corradini, trasformando magicamente la lotta di classe in guerra aperta alle nazioni ricche come la Germania. Ora, questo stesso motivo antiplutocratico e populista, messo prudentemente in sordina, in queste settimane, sulle pagine politiche dell’«Idea Nazionale», riaffiora, ma con il salvacondotto della finzione letteraria, nella novella dell’«impolitico» Pirandello: impolitico (per riprendere la fortunata espressione di Elio Providenti) perché, salvo aderire più tardi (anche per opportunismo, va detto) al fascismo, il grande scrittore si mantenne sempre fedele al sovversivismo piccolo borghese professato sin dalla gioventù, a quell’anarchismo viscerale e istintivo che contraddistingueva il suo personale approccio alla politica.

E grande scrittore Pirandello è anche qui, soprattutto nella rappresentazione grottesca e deformante dell’agiata signora che ostenta davanti alla folla le sue cartelle da centinaia di migliaia di lire. I lettori più avveduti non mancheranno di notare nei suoi tratti fisiognomici una qualche somiglianza con la vedova Zorzi della novella Due letti a due (1909), soprattutto per via di quel «grosso porro peloso, animato da un tic», che «le spiccava nero, per grazia, sul mento». Ma c’è anche, sottotraccia, un ultimo tema tipicamente pirandelliano. Questa superba rappresentante della borghesia parassita è infatti «tutta finta da capo a piedi, dipinta, segnata, sfumata come un’attrice in camerino, con un parrucchino che pareva di stoppa e certi occhi chiari ovati nuotanti entro le grinzose palpebre stanche, tra venature di sangue, schifosi». 
È, insomma, una maschera espressionista degna del miglior Pirandello. E la folla che plaude e fischia è il pubblico di quell’atroce e ridicolo spettacolo che si chiama vita.