Corriere della Sera, 10 maggio 2020
Gli Usa hanno perso credibilità
Secondo il presidente degli Stati Uniti il coronavirus verrebbe dal laboratorio cinese di Wuhan e la Repubblica Popolare sarebbe responsabile di un colpevole silenzio, se non addirittura di una diabolica strategia per la diffusione della epidemia nel mondo dei suoi potenziali avversari. L’accusa di Trump coinvolgerebbe, sia pure indirettamente, anche i Paesi, fra i quali l’Italia, che negli scorsi mesi hanno ricevuto aiuti sanitari dalla Cina e ne sarebbero divenuti fedeli clienti. È tornato così all’ordine del giorno anche il problema dei nostri contatti con Huawei, colosso cinese dell’informatica e fornitore della strumentazione necessaria per le reti di nuova generazione, che qualcuno considera uno strumento dei servizi di intelligence di Pechino. E altri, infine, hanno ricordato l’adesione italiana al grande programma cinese per una nuova Via della Seta, ulteriore «prova» della nostra sudditanza alla Cina.
A qualche scettico le accuse di Trump hanno ricordato un discorso pronunciato dall’ex generale Colin Powell, allora segretario di Stato durante la presidenza di George W. Bush, al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite. Era il 5 febbraio 2003 e il tema del discorso era l’Iraq, che gli Stati Uniti avrebbero invaso il 20 marzo. Per giustificare l’ostilità americana contro il Paese di Saddam Hussein, Powell mostrò ai membri del Consiglio di sicurezza una piccola fiala piena di polvere bianca e accusò l’Iraq di avere un ricco arsenale di armi chimiche. Secondo molte voci la polvere della fiala sarebbe stata antrace, noto anche come carbonchio: un bacillo letale che aggredisce i polmoni con sintomi non troppo diversi da quelli del coronavirus.
Fra l’accusa di Powell e quelle di Trump esiste tuttavia una importante differenza. Colin Powell era un uomo serio, insignito della maggiore carica militare americana (presidente del comitato dei capi di Stato maggiore) molto amato e rispettato nel mondo afro-americano e quindi straordinariamente credibile. Due anni dopo, in un altro discorso, riconobbe l’errore e disse che quella vicenda era una macchia sulla sua vita. Trump invece è fortunatamente molto meno credibile. Alla fine del suo mandato (le elezioni presidenziali avranno luogo in novembre) conosciamo ormai il suo stile. Sappiamo che le sue grandi amicizie hanno quasi sempre una breve durata, che prende posizioni contraddittorie senza battere ciglio e che le sue parole e quelle di molti dei suoi più intimi collaboratori sono quasi sempre dettate dalla maggiore o minore convenienza elettorale.
Questo non significa beninteso che tutte le accuse di Trump siano necessariamente false (anche un orologio rotto, come dicono i francesi, segna due volte al giorno l’ora giusta). Ma saranno credibili soltanto se verranno da un’altra fonte.