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 2020  maggio 09 Sabato calendario

Cambiare cognome senza limiti? Il dibattito in Germania

BERLINO «Che cosa c’è in un nome? Quel che noi chiamiamo col nome di rosa/ Anche se lo chiamassimo d’un altro nome, serberebbe pur sempre lo stesso dolce profumo;/ E così Romeo, pur se non fosse chiamato più Romeo,/ Serberebbe pur sempre quella cara perfezione ch’egli tuttavia possiede/ senza quel nome. Rinunzia dunque al tuo nome, Romeo./ E in cambio di quello, che pur non è alcuna parte di te,/ Accogli tutta me stessa». Tutti conosciamo i versi immortali di Shakespeare, la scena del balcone in cui Giulietta rivela nel buio il suo amore proibito per il rampollo del casato nemico, prologo di una struggente tragedia. A lei il Bardo affida una riflessione profonda e una verità universale: i nomi sono etichette e non hanno alcun valore, quello che conta è la qualità delle persone o delle cose. E forse è anche pensando a quest’ennesima folgorazione shakespeariana, che in Germania si riflette su una possibile rivoluzione. 
Nazione sempre incline a gettarsi, e se del caso lacerarsi, in un dibattito filosofico, quella tedesca tiene fede alla sua reputazione anche nella tragedia della pandemia. Abbiamo visto come il presidente del Parlamento, Wolfgang Schäuble, non abbia avuto paura di dire che nella lotta al coronavirus è «un errore dare assoluta priorità alla salvaguardia della vita umana», poiché ciò che conta è la sua «dignità», la garanzia cioè di poterla vivere nel pieno godimento dei diritti fondamentali. Si può essere d’accordo o meno con questa posizione. Ma Schäuble ha posto con la solita ruvida franchezza un tema forte, mettendo in guardia da un rischio presente e reale. E i tedeschi si sono messi a discutere con passione sul tema. 
Perdonate la digressione, ma qui vogliamo rendere conto di un altro dibattito in fieri, questo direttamente legato al riferimento shakespeariano. Parliamo di nomi e di cognomi. Quanto di più personale esista, anche se quasi nessuno è in grado di sceglierseli. I nomi di regola ce li mettono i genitori, i cognomi non possiamo cambiarli tranne in alcune limitate circostanze e in modo parziale, come per esempio nel caso del matrimonio. In Germania, poi, il diritto di famiglia, al capitolo attribuzione del cognome, è «troppo complicato, troppo confuso e in parte perfino contraddittorio». 
A dirlo, in una insolita convergenza d’opinione, sono i ministeri federali della Giustizia e degli Interni, in una recente dichiarazione comune. Un esempio per tutti? Quello della cancelliera federale, nata Angela Kasner, che ancora oggi porta il cognome del primo marito, Merkel, nonostante si sia separata da lui nel 1981 e da 36 anni viva con il professor Joachim Sauer, sposato nel 1998. 
Con in mente l’idea di una semplificazione, due anni fa una commissione di esperti venne incaricata dai due ministeri di formulare delle proposte di modifica del Namenrechts tedesco, in modo da tener conto della nuova realtà sociale, della parità di genere, del bisogno di regole e procedure meno burocratiche e più veloci. Il lavoro è stato completato a fine marzo, anche se la pandemia non ha permesso ai tedeschi di dargli finora la giusta attenzione. Ma definire le proposte una rivoluzione, aggiungeremmo shakespeariana, non è esagerato. 
Di tutte, quella più clamorosa è che in futuro ognuno potrà cambiare cognome semplicemente perché ne ha voglia. Avete capito bene: non più solo a causa e in occasione di un matrimonio si potrà scegliere di chiamarsi diversamente. Con tre, si fa per dire, limitazioni: la prima è che questo potrà avvenire soltanto ogni dieci anni. La seconda che sarà necessario aver compiuto 16 anni. La terza che «l’interesse pubblico al mantenimento dell’attuale cognome non dovrà essere superiore a quello dell’interessato a cambiarlo». In altre parole, quest’ultimo non dovrà essere oggetto di un procedimento giudiziario di qualsiasi tipo in corso. Ma soddisfatte le condizioni, la regola varrebbe anche per il nome di battesimo. Detto altrimenti, se la proposta degli esperti fosse accolta, in teoria ogni dieci anni i tedeschi potrebbero scegliersi il nome e il cognome che più loro aggrada. Come diceva Giulietta: «Cosa c’è in un nome?». 
Altri cambiamenti riguardano la vexata quæstio del doppio cognome. Attualmente il diritto di famiglia prevede che se Frau Fischer sposa Herr Müller solo una o uno di loro può chiamarsi Fischer-Müller o Müller-Fischer. In futuro potranno farlo entrambi e dare il doppio cognome (nella priorità desiderata) anche ai loro figli, cosa attualmente vietata. E poiché la Germania è terra di grandi minoranze, anche di queste si occupa il rapporto. Oggi nella Repubblica federale le donne di origine slava non possono declinare al femminile il cognome del marito, secondo l’uso delle lingue russa, serbo-croata, polacca e via continuando. Per fare un esempio, non è possibile per la moglie di Herr Ivanov chiamarsi legalmente Frau Ivanova. Gli esperti propongono di cambiare la regola, togliendo ogni prescrizione motivata dal genere nella scelta del cognome. 
Nell’ambizione dei ministeri della Giustizia e dell’Interno, le proposte della commissione dovranno essere oggetto di un grande dibattito nazionale, nel quale viene sollecitata la partecipazione di tutti i cittadini con osservazioni e suggerimenti, prima che il Parlamento, nella legislatura che inizierà nell’ottobre 2021, metta in cantiere la riforma di questa parte del diritto di famiglia. 
Le prime reazioni politiche non sono unanimi anche all’interno della coalizione di governo. «Buone proposte», le definisce l’esperta in materia della Spd, Eva Högl, che apprezza «regole chiare e comprensibili per la scelta del nome, la flessibilità nel cambiarlo, l’attenzione alle nuove strutture familiari e forme di convivenza». Più cauto Jan-Marco Luczak, portavoce della Cdu per i diritti politici, in principio favorevole a una liberalizzazione del diritto del nome ma «scettico» soprattutto sull’ammettere la possibilità che basti semplicemente volerlo per cambiare generalità ogni dieci anni. 
Chiamarsi o richiamarsi, è questo il dilemma per i tedeschi. Se sia più nobile, con i nostri antenati romani, continuare a rivendicare il nomen omen, il destino che è legato a un nome. Ovvero, con Shakespeare, prendere armi contro la tradizione e porre fine alla dittatura del nome andando al cuore della vera personalità umana. È un groviglio che farà pensare. Di una cosa possiamo essere sicuri, il dibattito sarà intenso.