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 2020  maggio 09 Sabato calendario

Il cugino sfida Assad

È scandalo nei corridoi del potere a Damasco. Anche i lealisti più fedeli al regime di Bashar Assad sono rimasti a bocca aperta quando domenica scorsa hanno letto l’appello sul blog di suo cugino Rami Makhlouf. «Chi si sarebbe mai aspettato che i servizi segreti potessero venire a rovistare, sequestrare e arrestare negli uffici delle mie compagnie? Proprio le mie, di Rami Makhlouf, che sono sempre stato il loro più munifico finanziatore», scrive con toni tra la lamentela e la denuncia quello che è considerato l’uomo più ricco del Paese. «Vogliono che mi metta da parte. Bashar dovresti essere più equo», aggiunge.
Probabilmente il vecchio Hafez, capostipite della dinastia alawita degli Assad morto nel Duemila, si sta rivoltando nella tomba. La sua lezione per tre decadi era sempre stata che i panni sporchi si lavano rigorosamente tra le mura di casa. Anche nel 1984, quando suo fratello Rifaat aveva approfittato di un suo problema cardiaco per cercare di defenestrarlo, Hafez aveva raccolto i fedelissimi nel loro villaggio natale di Kardakha e nel modo più discreto possibile lo aveva costretto all’esilio.
Ma, nell’era dei social e della comunicazione veloce, anche la dittatura siriana fatica a imporre la censura totale. Così, emerge che i due cugini di primo grado sono ai ferri corti, con la first lady, Asma Assad, sulle barricate ad aizzare il marito. Bashar, 54 anni, grazie al contributo russo e del fronte sciita dominato dall’Iran, sta vincendo la guerra interna scoppiata con la «primavera araba» del 2011. Però il Paese è in ginocchio, la valuta ai minimi storici, l’economia non decolla ed è penalizzata dalla bancarotta dello Stato libanese. L’80 per cento della popolazione vive al limite della povertà. Nell’enclave di Idlib inoltre le milizie jihadiste protette dalla Turchia continuano a resistere, assorbendo risorse militari.
Rami, 50 anni, ha sempre prosperato con la protezione dei circoli alawiti influenti. Garantito da corruzione e nepotismo endemici al regime, le sue compagnie operano nel monopolio. Suo fiore all’occhiello è la Syriatel, il gigante delle comunicazioni nazionale. Ma lui controlla anche l’industria energetica, diverse banche, il gruppo giornalistico Al Watan. Nel 2008 la sua fortuna privata era valutata a 6 miliardi di dollari, pare controllasse in modo più o meno diretto quasi il 60 per cento dell’economia. Non è strano che già una decina d’anni fa gli organi di controllo americani ed europei lo accusassero di operazioni illegali. Ai tempi della cosiddetta «primavera di Damasco», subito dopo la morte di Hafez, gli intellettuali speranzosi in una svolta in chiave liberale chiedevano che Bashar potesse mettere fine a tante impunità. Ma vinse la vecchia nomenklatura. Oggi il presidente ci prova, ma per motivi diversi. Le casse dello Stato necessitano di contante. Il gruppo Makhlouf dovrebbe versare subito tasse per almeno 185 milioni di dollari. La sfida continua.