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 2020  maggio 09 Sabato calendario

Sai perché c’è la coda nei bagni delle donne?

DUE CLAMOROSI

È successo di nuovo. Quando, a pandemia conclamata, il coronavirus ha persuaso anche gli ultimi irriducibili scettici ad armarsi, è saltato fuori che, guarda un po’, i sette Paesi più attrezzati alla guerra sono guidati da signore e signorine. E allora giù, lacrime di coccodrillo a profusione sull’altra metà al buio del cielo, il sesso eternamente secondo, l’infrangibile tetto di cristallo. Un film visto e rivisto alla saturazione: nonostante i grandi passi avanti sulla via dell’emancipazione, il divario tra uomini e donne resta inversamente proporzionale alla volontà di colmarlo. 
C’è chi lo spiega con il disimpegno delle generazioni più giovani, chi con il riflusso tradizional-populista, chi ne fa una questione di società liquida. Secondo la scrittrice e femminista britannica Caroline Criado Perez, la ragione sta scritta invece nero su bianco nel gender data gap, la mancanza di dati di genere che, bypassando cosa abbiano fatto le donne nella Storia, ne ha cancellato se non la presenza di certo la funzione. Nel voluminoso Invisibili, il saggio appena tradotto in Italia e già accolto dalla stampa anglosassone come «il libro che tutti i maschi dovrebbero leggere», la Criado-Perez passa in rassegna con dovizia d’archivista le informazioni omesse dalla notte dei tempi, perché, sostiene, la rimozione risale addirittura lì, a quel mito onnicomprensivo dell’uomo cacciatore, sfatato nel 1975 dall’antropologa Sally Slocum, da cui, come nel cinema in soggettiva, è assente il controcampo, il punto di vista di chi, nel frattempo, rendeva commestibili le radici raccolte e cresceva gli homo sapiens di domani.
Pagina dopo pagina scopriamo o riscopriamo così che gli emoji, «l’idioma umano in più rapida crescita», utilizzato in maggioranza dall’utenza femminile, è stato fino al 2016 bizzarramente popolato da soli uomini. Che nel 2007 appena il 32% dei personaggi televisivi per l’infanzia era donna ma ancora dieci anni dopo, nel transfer dall’immaginario al reale, i parlamenti di tutto il mondo contavano in media una percentuale di deputate del 23,5%, e grazie solo al sistema delle quote. Che la mobilità urbana non tiene conto del cosiddetto trip-chaining, la modalità di spostamento lungo traiettorie non lineari e a tappe concatenate tipica di chi prima di timbrare il cartellino porta i figli a scuola, fa la spesa, ritira le analisi dei genitori anziani e passa pure in tintoria. Che la progettazione delle automobili si basa sull’anatomia maschile con il risultato che le passeggere hanno il 47% di probabilità in più dei passeggeri di uscire gravemente ferite da un incidente e il 17% in più di morire. Che addirittura le toilette non sono esattamente fair, perché laddove il suo tempo-bagno può essere fino a tre volte superiore a quello di un uomo la donna ne trova molti meno e spesso non ne trova affatto: secondo WaterAid, udite udite, noi figlie di Simone de Beauvoir impieghiamo ogni anno 97 miliardi di ore nella ricerca di un luogo sicuro per le nostre necessità igieniche. Ci sono poi le ultime degli ultimi, quelle che nel campo profughi di Lesbo raccontano di dormire con i pannoloni dei bambini per evitare di uscire dalla tenda di notte.
A onor del vero, la denuncia è tutt’altro che nuova. La letteratura abbonda di documentatissimi cahiers de doléances e la cronaca, al netto del molto ancora da fare, dedica ampio spazio alla differenza di opportunità anche quando non si tratta di #metoo. È piuttosto la mole dei dati raccolti in questo volume a fare impressione, quelli che effettivamente non compaiono nelle statistiche perché la categoria generica di uomo comprende la specie umana nel suo insieme, senza sessi e dunque senza uno dei due. Ma, come nella storia della media matematica in cui uno mangia due polli e un altro ne mangia zero, non è così. 
Lo dice bene la poetessa Muriel Rukeyser in Mito, quando la Sfinge rivela a un Edipo ormai vecchio che se non ha riconosciuto sua madre è solo perché ha risolto l’enigma con la soluzione sbagliata: «Quando ti domandai chi fosse colui che camminava con quattro gambe al mattino, con due al pomeriggio e con tre la sera, tu mi rispondesti l’uomo. Non parlasti della donna». 
Si potrebbe obiettare che il divario è noto al punto da produrre obiettori al solo menzionarne l’esistenza, che in Francia, per esempio, a scegliere l’automobile sono ormai le donne e i progettisti farebbero bene a tenerne conto se non l’hanno ancora fatto. 
Però, presente alla mano, la prima lezione della quarantena da coronavirus è che seppure le donne muoiono in apparenza di meno lavorano molto ma molto di più. E allora, anche se non siamo più trasparenti come un tempo, Invisibili fa giustizia di una distrazione che sembra casuale ma forse non lo è. Poi, possiamo anche discutere all’infinito di quanto e come i dati raccontino una realtà assai più complessa perché in divenire, ma intanto sarebbe ora di cominciare a raccontarla.