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 2020  maggio 09 Sabato calendario

Moody’s non modifica il rating, evitata la serie B

Il debito italiano chiude la stagione primaverile dei rating restando in area Investment Grade per tutte e quattro le agenzie internazionali. È questo il risultato principale arrivato venerdì sera con la conferma da parte di Moody’s, che non ha modificato l’etichetta «Baa3» sui nostri titoli di Stato. Conferma importante perché quello è l’ultimo scalino prima del girone dei Junk Bond. Stesso scalino che il debito italiano già occupa per Fitch, dopo il downgrade a «BBB-» arrivato a sorpresa a fine aprile, mentre nella scala di S&P rimane un altro gradino di sicurezza alla luce della conferma del 24 aprile. 
I titoli italiani restano poi lontani dall’area più critica anche per la quarta agenzia, la canadese Dbrs, che resta il più “generoso” fra i giudici del debito italiano: ieri ha confermato la valutazione BBB(high), girando però in negativo l’outlook.
Il fatto che Moody’s non affondasse il colpo era dato quasi per scontato, perché non più tardi di due settimane fa la stessa agenzia aveva sostenuto in un report che la crisi da Coronavirus spingerà il debito italiano «a livelli record», ma «l’affidabilità creditizia del Paese per larga parte non dovrebbe subire ricadute». Tanta sicurezza, avevano spiegato gli analisti dell’agenzia, è legata ai costi di finanziamento che rimangono comunque relativamente bassi, grazie all’ombrello Bce e agli interventi in cantiere a Bruxelles, e all’ipotesi di un’economia in ripresa dal terzo trimestre. Proprio questa considerazione indica che gli appuntamenti decisivi sono solo rinviati all’autunno, quando torneranno a esprimersi tutte e quatto le agenzie. Ed è lo stato lo stesso governo italiano nel Def a spiegare che un’ipotesi di seconda ondata di pandemia in autunno taglierebbe il nostro Pil di un altro 2,8%. Un’osservazione analoga è arrivata in settimana dalle previsioni di primavera della commissione Ue. 
Nonostante l’Italia abbia evitato il pericolo di cadere negli inferi dei rating “spazzatura”, il Paese resta quindi in una posizione scomoda: ha un debito pubblico in forte aumento e due agenzie (Moody’s e Fitch) che lo valutano nell’ultimo gradino del campo sicuro dei rating «investment grade». L’Italia è insomma sul crinale, a un passo dal mondo dei rating “spazzatura”. E qui resta. Se questo non pare oggi essere un problema per la Bce (che guarda solo il migliore di quattro rating e comunque continua a lanciare messaggi favorevoli all’acquisto di titoli “spazzatura”), un futuro declassamento potrebbe diventare un problema serio sui mercati finanziari. Non perché le agenzie di rating siano oracoli infallibili (tutt’altro, come la storia insegna), ma perché moltissimi investitori sui mercati obbligazionari guardano i rating come unico parametro per definire cosa possono o non possono detenere in portafoglio. È il mercato a dare importanza ai rating e a renderli determinanti nel destino di un Paese. 
Il problema nascerebbe se l’Italia scendesse nel campo «speculativo» (o spazzatura). Cioè se passasse da «BBB-» a «BB+». Cosa evitata ieri sera. Ma possibile nel medio termine. Una caduta potrebbe infatti far scattare vendite forzate di BTp da parte di molti investitori che per statuto non potrebbero più detenerli in portafoglio. Questo deve essere chiaro: non sarebbe una scelta, ma per alcuni investitori vendere BTp sarebbe un obbligo. Sul mercato girano alcune stime. Hsbc, guardando solo i fondi d’investimento a benchmark (escludendo dunque assicurazioni, fondi pensione, fondi sovrani, banche e quant’altro) calcola che la caduta dell’Italia allo status di “spazzatura” potrebbe provocare vendite obbligate sui BTp da parte dei fondi per 61 miliardi di euro. Allargando lo spettro anche ad altre categorie di investitori, in passato erano girate stime maggiori: 100 miliardi di vendite obbligatorie sui titoli di Stato italiani calcolava Goldman Sachs, 130-200 stimava nel 2018 Barclays. 
Per un Paese che ha sempre più bisogno di reperire finanziamenti sui mercati, questo sarebbe un problema serio. Perché è vero che esistono molti altri fondi che invece sono dedicati ai bond “spazzatura”, ma è anche vero che il mercato di questi titoli è più piccolo e l’Italia ha un debito molto grosso.
Servirebbero però due declassamenti a “spazzatura” per creare questo turbine di vendite, non basta una sola agenzia. Attualmente sul mercato i tre principali benchmark per le obbligazioni “investment grade” europee (cioè Markit iBoxx, ICE BAML e Bloomberg Barclays) guardano infatti la media dei rating di Moody’s, Fitch e S&P: per cui, dato che l’Italia ha tre rating, ne servirebbero due “spazzatura” per costringere i tre indici a “cacciarla” e per far partire le vendite forzate sui BTp. Certo, il mercato potrebbe iniziare a portarsi avanti dopo un solo declassamento. 
Ma comunque ancora un po’ di margine il Paese ce l’ha. Ma quando la pandemia sarà finita, e con essa anche il programma straordinario di acquisti della Bce (il Pepp), questo poco margine peserà. A meno che la Bce non tiri fuori dal cilindro qualche altro coniglio.