il Fatto Quotidiano, 9 maggio 2020
Gli ascolti tv al ritmo dei contagi
Più tamponi positivi, più televisori accesi. Come una formula esatta. Ogni giorno con lo stesso ritmo, una ansiogena e drammatica corsa all’insù dal primo focolaio di Codogno del ventuno febbraio. Finché i contagi sono lentamente rallentati e gli schermi si sono altrettanto lentamente spenti. La curva dei malati di Covid-19 si sovrappone – come dimostra il grafico in pagina dello Studio Frasi – alla curva degli ascolti che registra gli aumenti quotidiani rispetto alla media degli ultimi cinque anni. L’andamento è quasi identico. Le brutte notizie hanno provocato la ricerca di altre notizie.
Quel venerdì di febbraio l’Italia si è scoperta infetta, si discuteva di Mattia e dei suoi contatti, si dragavano gli ospedali del Lodigiano, ma il virus circolava già ovunque.
Il pubblico televisivo stava scemando da settimane dopo la sbornia del Festival di Sanremo. La stagione invernale, la più ricca, stava per congedarsi con bilanci negativi. Marzo si è presentato a un’Italia ancora aperta e non ancora cosciente. La politica invitava a brindare agli aperitivi, ma i telespettatori erano in allerta: i contagi erano sotto la soglia di 1.000 al dì, però il pubblico rientrava in massa. Domenica otto marzo, alla vigilia della chiusura del Paese con il messaggio del premier Giuseppe Conte, c’erano 1,2 milioni di italiani in più davanti al televisore. Dopo la metà di marzo, con l’Italia ai domiciliari, si sono toccati picchi di 31 milioni di telespettatori di sera e più 5 milioni su marzo 2019. Aprile è stato una graduale discesa di ascolti tv e di positivi al Covid-19. L’apertura di lunedì scorso ha allentato la tensione, ma si è presto rialzata con il persistere dei casi in Lombardia. La televisione generalista si è adattata in fretta alla pandemia. Non c’erano alternative. Il virus è un tiranno dei pensieri, come ha notato Claudio Magris. Si impone su tutto e su tutti. Il pubblico cercava di sapere, un po’ di svago, magari un po’ di conforto. La televisione è tornata ai mestieri di un tempo: informare, intrattenere, persino insegnare con i programmi per gli studenti. E ha dato fondo alle teche. A volte alla fantasia, con il concerto del Primo Maggio del servizio pubblico Rai. Questo non significa che ha rinunciato alle pessime abitudini.
Gli opinionisti sono proliferati. E dopo i soliti giornalisti chiamati a commentare l’orrendo egoismo degli olandesi, il valore giuridico degli atti del premier Conte, la scomparsa mediatica di Kim Jong-un, la competizione tecnologica tra americani e cinesi, l’incessante guerriglia in Libia, il prezzo di carote e zucchine e non di rado l’efficacia di un vaccino per il Covid-19, il pubblico ha scoperto il virologo opinionista, aggrappato ai forse, al chissà, al può darsi. I diabolici autori delle trasmissioni li hanno pure divisi in squadre, in correnti animate da spietata rivalità come se si trattasse del Pd. Da una parte i virologi che minimizzano, dall’altra quelli che esasperano. I medici del tampone contro i medici del sierologico. I segugi del complotto cinese e gli scienziati del pangolino. Dottori in borghese branditi dai governatori, dai politici e addirittura dai giornalisti. E chi vuole la mascherina con i guanti e chi i guanti senza la mascherina però a distanza di un metro e mezzo, facciamo due e lasci. Uno spettacolo anche divertente se la faccenda non fosse così seria.